Yassine Balbzioui

By cherimus,

Yassine Balbzioui è volato in Sardegna direttamente da Marsiglia dove aveva appena ultimato una residenza d’artista alla Friche la Belle de Mai.

Yassine conosce già molto bene il Sulcis e Cherimus: ha collaborato nel 2011 al progetto Happy April, realizzando laboratori in tutto il Sulcis-Iglesiente con Marco Colombaioni; ha lavorato poi nel 2013 a Masainas, Giba, Villaperuccio, Perdaxius e Piscinas per il progetto La Biblioteca Fantastica e nel 2015 al quartiere Sant’Elia di Cagliari per la parte sarda del progetto Côte à Côte, iniziato l’anno prima a Rabat, Marocco.

Principalmente pittore, Yassine Balbzioui nella sua pratica usa la scultura, l’installazione e la performance, ovunque spargendovi a piene mani una forza allo stesso tempo visionaria e giocosa che obbliga l’osservatore a ricalibrare il proprio rapporto con il mondo.

Dopo il lavoro di raccolta e sviluppo delle idee guida per i parchi effettuato con Dragos Olea di Apparatus 22, Yassine ha impostato il suo lavoro su uno sviluppo fisico dei diversi progetti emersi; si è voluto immergere nei quattro parchi raccogliendo la “sfida utopica”, così la chiama l’artista, che I giardini possibili propongono: una trasformazione che veramente parta dai bambini, non come pretesto ma come fondamento.

Le aule si sono così svuotate dai banchi e si sono trasformate di volta in volta in un muro da decorare e abbattere, in un labirinto fitto di disegni di fontane, in una linea infinita con la quale il corpo si deve confrontare e danzare, in un modello di grande scala fatto di muschio, creta, gessetti e vernice: quasi un presepe fantascientifico.

Le idee sono diventate spinta, gesto, salto e caduta. I materiali si sono mescolati fino a risultare inestricabili e così le possibilità si sono scatenate e liberate ulteriormente.

Grazie a Yassine Balbzioui “I giardini possibili” hanno viaggiato parecchio: anche loro sono diventati delle creature vive e volteggianti.

Okada Buluma: com’è nato Carnival! Nairobi

By cherimus,

L’idea del carnevale è nata da alcune chiacchierate con Marco, negli anni in cui ero in Italia, tra il 2008 e il 2009. Marco aveva l’abitudine di girare Milano per visitare le gallerie d’arte e spesso mi portava con lui. In quegli anni mi ripeteva di frequente la sua idea di portare un matatu (un minibus per il trasporto pubblico, spesso colorato, aerografato e pieno di musica ad alto volume n.d.r.) a Milano.

E parlando di questa idea venne fuori che in Europa, in Italia, esiste il carnevale, che è un’esplosione di fantasia, come lo sono i matatu. Marco si chiedeva che vita avrebbe preso la creatività keniana se trasposta in un contesto come quello del carnevale. Perché nel carnevale c’è sì tanta follia, ma è anche un’esplosione di vita, un’espressione della bellezza della vita.

Victor sventola la sua bandiera appena finita al Superpower-tool & Hardeware shop, Kawangware © Cherimus

Questa idea di carnevale si è accesa ancora di più l’anno scorso, camminando su Kabiria road, con Chiara. Ci siamo detti: ragazzi stiamo finendo Ciak! Kibera, la prossima sfida deve essere il carnevale! Una volta ho partecipato al carnevale di Acireale, il più bello della Sicilia, e lì si vedono bellissimi carri fatti di fiori che si muovono, fanno fuoco, fanno fumo, per quasi una settimana si vede tanto movimento. E questo mi ha fatto immaginare chissà cosa potrebbe nascere, cosa potrebbe venire fuori da un’esperienza del genere portata in un contesto africano. Io sarei curioso di vedere un carnevale a Nairobi, con l’impronta di strada, in Africa, e che prima o poi prenderà vita propria, con i suoi aspetti unici.

L’idea di realizzare il carnevale a Nairobi, e di farlo con i ragazzi di strada, è quasi geniale: dà l’opportunità di fare splendere qualcosa che ancora non si vede. Sulla strada ci sono tanti tesori nascosti che in genere non si conoscono finché non si va a toccarli: un diamante grezzo sembra una pietra da poco, però se si scava bene arriva a brillare. Se non si scava, se non si fa un passaggio del genere, non si può arrivare a capire e ad apprezzare quello che ci stiamo perdendo, come esseri umani, ignorando la vita dei ragazzi di strada. Il fatto che stiamo finalmente facendo questo carnevale a Nairobi, dopo così tanti anni, vuol dire che quell’idea era come un seme nella coscienza di molti di noi che piano piano ha fatto il suo viaggio e che ora sta crescendo.

© Kelvin/MegaLink Photography

Il carnevale ci dà l’opportunità di aprire una finestra magica. Per via delle condizioni in cui vivono, questi ragazzi non credono più di poter realizzare i propri sogni, che rimangono solo nella loro testa. Il carnevale, in realtà, è una finestra che consente al mondo e alla società di vedere questi tesori nascosti. Tutti noi di solito, quando guardiamo verso la vita di strada, vediamo solo cose negative, persone che vivono una situazione pietosa. Ma dando loro un’occasione, queste persone splendono, questi bambini riescono a fare cose che non possiamo nemmeno immaginare: il carnevale dà l’opportunità di vedere tutta questa potenzialità nella sua pienezza.

Vedo l’opportunità di dare voce a un bambino che comunica in una maniera che noi non conosciamo, e che in questo modo potremmo riuscire a capire, perché manderà un messaggio molto chiaro su quali sono i suoi sogni, su qual è la sua quotidianità, e questa quotidianità come la vive, come la apprezza, cosa sta imparando dalla sua esperienza di strada. Il carnevale ci porterà la possibilità di assaggiare sia i lati che noi riteniamo essere negativi della vita di strada, sia quelli positivi, che non conosciamo ancora. Ci darà l’opportunità di esplorare un mondo che non conosciamo tanto, ed è anche un’occasione per i bambini, per i ragazzi di strada di insegnarci le piccole cose che rendono la vita più bella e che stiamo dimenticando.

Quando ho visto le difficoltà dei primi workshop, ho pensato al bambù cinese che, per crescere, fa percorsi un po’ strani. Dal nostro punto di vista piantare il bambù cinese può sembrare una perdita di tempo, perché gli anni passano ma non si vede crescere niente e si è quasi tentati di smettere di coltivarlo. Invece quel bambù impiega cinque anni per creare una solida rete di radici. Allo stesso modo, in quei primi incontri nelle basi di strada, a volte difficili, si stava creando una rete di relazioni, si stavano gettando le fondamenta su cui costruire.

Costruire questo carnevale può essere faticoso, perché ogni gruppo di strada è diverso e vive un’esperienza completamente diversa dall’altro: a volte ci vuole più tempo per capire le dinamiche che si vivono sulla strada. Ma questo permette di entrare in relazione, di prendere confidenza con i ragazzi e così anche loro riescono a capire che sono arrivati degli amici che vogliono partecipare alla loro vita in un modo nuovo. Quando si raggiungerà l’intesa, la fiducia reciproca, a quel punto il lavoro prenderà una velocità che non possiamo immaginare perché ci si capirà di più e facilmente. Proprio come il bambù cinese, che dopo cinque anni spunta all’improvviso, cresce velocissimo e va molto in alto.

Questo carnevale si mette al servizio di qualcosa di molto prezioso, perché gioca sul piano dell’immagine che i bambini e i ragazzi di strada hanno di sé, e perché fa emergere la bellezza dall’esperienza che stanno vivendo. Tu puoi essere molto bello, però se in continuazione la società ti bombarda di messaggi negativi su di te, ti viene il dubbio che tu non sia bello per davvero. Quando, attraverso un’esperienza del genere un bambino riesce a fiorire, questo aiuta la sua autostima, rafforza l’idea che ha di se stesso: anche se sta vivendo una realtà difficile, capisce di essere speciale, di avere qualcosa di unico al mondo. Certo, farà tutto quello che potrà nell’affrontare le difficoltà di strada, ma alla fine c’è una speranza: non è tutto perduto, c’è ancora qualcosa che si può fare, e quello che sta emergendo nella preparazione di questo carnevale ne è testimone, è testimone che c’è vita, anche sulla strada.

Okada Buluma

Koinonia Community

Intervista con Jane Wanjiru e Mary Osinde, Koinonia Community

By cherimus,

In un pomeriggio di pausa tra un laboratorio a Ngong e un altro a Kawangware, sono andato insieme a Ibrahim Nehme, scrittore in residenza del progetto Darajart e Elisa Simoncelli, filmmaker e volontaria di Amani a Mother House, una delle case di prima accoglienza per bambini che vivono in strada, gestite da Koinonia Community e Amani. Qui abbiamo incontrato le educatrici Jane Wanjiru e Mary Osinde (d’ora in poi JW e MO), che supportano Cherimus nei laboratori artistici di Carnival! Nairobi. Ci hanno parlato del loro rapporto con le “basi”, le comunità di strada dove vivono i bambini e i ragazzi coinvolti nel progetto cominciato a febbraio e che debutterà il 14 aprile con una parata per le strade del quartiere di Riruta-Satellite.

Mary, qual è il tuo punto di vista rispetto ai laboratori che stiamo facendo con i ragazzi che vivono in strada?

MO: Questo progetto è molto positivo perché dà la possibilità ai ragazzi di strada di essere creativi, di condividere le loro idee e addirittura… ridere! Abbiamo visto alcuni dei ragazzi aiutarsi l’un l’altro nel disegnare ed esprimersi. Posso dire che i disegni ci sono molto utili perché ci consentono di immaginare cosa questi ragazzi vorrebbero essere in futuro. Questo potrebbe aiutarci soprattutto nel processo di recupero di alcuni bambini. Una parte di questo lavoro è utile in vista del 12 aprile, la Giornata internazionale dei bambini di strada visto che alcune organizzazioni potrebbero prendere spunto da Carnival! Nairobi e magari replicarlo. È un bene che avvenga uno scambio di buone pratiche tra organizzazioni e istituzioni.

Cosa significa essere un’educatrice di strada?

MO: Quando andiamo in strada incontriamo questi giovani ragazzi. Creiamo un legame per un periodo di tre mesi, conoscono i nostri nomi, risaliamo alle case da dove sono scappati così da poter conoscere le loro famiglie prima che entrino nei nostri centri. Nel frattempo stiamo con loro, facciamo attività, colazione e pranzo. Condividono i loro pensieri e si aprono con noi, a volte ci spiegano perché hanno lasciato casa e sono finiti in strada.

JW: Andiamo soprattutto nella periferia di Nairobi. Per strada parliamo con i ragazzi e cerchiamo di contattare le famiglie. Cerchiamo di coinvolgerli in molte attività: giochiamo a calcio, normalmente facciamo lo stesso con le ragazze. Organizziamo anche un torneo per ragazzi di strada in cui coinvolgiamo le diverse basi, per unirle. Le basi non sono uguali tra loro, non fanno le stesse cose, a volte ci sono dinamiche diverse. Con questo torneo le basi si conoscono e riconoscono e quindi riescono ad aiutarsi l’una con l’altra. L’anno scorso c’era un gruppo di ragazze a cui piaceva il calcio, non vedevano l’ora di giocare. Hanno anche avuto un allenatore: presso la base c’è un campo dove poter giocare. Per loro è stato entusiasmante! È stato bello coinvolgere tutte quelle basi perché non erano mai state in contatto tra loro per così tanto tempo. Ora quando qualcuno cambia base, per esempio da Ngong a Kawangware, ci si conosce già ed è come se la famiglia di strada fosse una.

Come scegliete i ragazzi che entrano nei centri di recupero?

MO: La selezione avviene per ragazzi dai 6 ai 15 anni: nelle varie basi ci sono alcuni ragazzi più giovani e il criterio è unicamente l’età. Prima di iniziare il recupero individuiamo le loro famiglie, quando non ci riusciamo ci rivolgiamo ai servizi sociali.

Cosa ti aspetti da questo carnevale?

MO: Cerco di immaginare come trasporteranno questi grandi carri e come indosseranno queste maschere, perché in Kenya nessuno ha mai visto niente di simile. La gente dirà: “Hey, da cosa sono vestite queste persone?”, conoscendo i keniani penseranno che siamo matti, ma noi sappiamo quello che facciamo.

Con quante basi lavora Koinonia Community?

JW: Sono tante, ma posso nominarne alcune: abbiamo Kawangware e Sokomjinga, Strong boys, abbiamo Vancouver e Ngong. In città ce ne sono tante: lavoriamo più che altro con Central park, CBD, Grogon, Mlango, e anche Eastleigh, Mtindwa, Muturwa, Gikomba.

Come vengono scelti i nomi delle basi?

JW: Credo che scelgano i loro nomi basandosi su quello a cui sentono di appartenere, c’è un senso di attaccamento a qualcosa: se si identificano con l’Arsenal (la squadra di calcio inglese, ndr) probabilmente si daranno quel nome. Il più delle volte si identificano con qualcosa in cui credono o che amano. I nomi si scelgono parlando, magari il nome salta fuori e qualcuno dice: “Potremmo chiamarci così” e così via. Così come gli Strong boys che si sentono forti, anche se in realtà potrebbero sembrare deboli (ride, ndr).

Nelle basi la maggior parte dei ragazzi sono maschi, è difficile per te fare questo lavoro essendo una donna?

JW: Quando vado in una base, all’inizio non mi siedo con loro. Mi limito a parlare e a dire: “Sono una sorella per te”, così possiamo parlare di quel che gli succede. Quando vedono questo approccio si sentono bene al punto che se hai un problema cercano di aiutarti perché ti conoscono bene. Quando ci sono attività puoi unirti e questo a loro piace. Ci dicono: “Anche tu puoi fare questo con noi, vieni! Andiamo avanti!”, così ti senti al sicuro.

Nella base di Mtindwa ci sono alcune ragazze, insieme ai loro bambini. Perché quando arriviamo la mattina troviamo solo ragazzi?

JW: Penso che il più delle volte, soprattutto nelle aree urbane, semplicemente la mattina le ragazze dormano da qualche parte. Ci sono, è solo che vanno altrove nella stessa zona, si nascondono e riposano.

Quali sono le vostre aspettative sul carnevale?

JW: Abbiamo molte attività, ma questa è nuova. Alcuni dei ragazzi ci chiedono: “Perché ci chiedete di disegnare?”. Quando partecipano disegnano cose interessanti, molti di loro hanno talento, si vede che non hanno mai avuto l’opportunità di tirare fuori certe cose. Sono ansiosa di vedere il carnevale, so che sarà coinvolgente! È entusiasmante, per noi è la prima volta.

Durante una delle attività abbiamo costruito le bandiere, com’è andata secondo voi?

JW: All’inizio abbiamo disegnato un tetto di lamiera – eravamo io e Victor, che ha circa 13 anni – poi dovevamo tagliare le forme dai tessuti e ho pensato: “Chissà come funziona questa cosa…”, ma poi ce l’abbiamo fatta, abbiamo tagliato il tessuto a zig-zag e ha funzionato bene.

Victor era il ragazzo più felice del mondo in quel momento.

JW: Sì, e non vede l’ora che sia domani!

Come sono organizzate le basi? Abbiamo capito che tutte hanno leader, qualcuno a cui il gruppo può fare riferimento. Come funziona questo tipo di società, ci sono delle regole?

JW: Credo che questi giovani, ragazze e ragazzi, vivano come in una famiglia. In un sistema famigliare c’è un capo, come un padre o una madre. E i ragazzi seguono questa figura: se il leader dirà loro di fare qualcosa, tutti lo seguiranno. Per esempio, i ragazzi nelle strade spesso sono soggetti a dipendenze, e a volte quando parliamo con loro gli viene detto di mettere via la droga, tutti lo fanno perché ascoltano. Questa è una regola che seguono. Un’altra è che devono esserci l’uno per l’altro: se hai qualcosa lo devi condividere con gli altri; se uno di loro viene picchiato, gli altri lotteranno per difenderlo. Questa è la cosa più bella: vivono come una famiglia.

Il leader è il più grande o ci sono altri criteri?

JW: Nella maggior parte dei casi è il più grande, ma un altro elemento di leadership è il tempo di permanenza nella base. Ci sono persone che restano una settimana e poi se ne vanno, altre ci restano un mese, altre ancora restano nella stessa base per anni.

Cercate di costruire una relazione con il leader per avere accesso alla base?

MO: Sì, i leader sono coloro che posso aiutarti ad accedere alla base. Sono anche quelli che possono proteggerti se succede qualcosa.

Qual è stata la sfida più grande che avete dovuto affrontare?

MO: Quando ho cominciato è stata una grande sfida perché sono una donna. Molte persone in strada fanno uso di droghe e all’inizio si ha un po’ paura di loro, ma dopo due o tre giorni erano già molto amichevoli. È fondamentale presentarsi perché ci sono persone che li avvicinano, li picchiano, li schiaffeggiano, anche la polizia. Ma se sanno chi sei, sei al sicuro.

Da quando avete cominciato com’è cambiata la situazione? Ci sono meno ragazzi in strada?

MO: Sì, parlo per questo lato della città (Dagoretti, Kawangware, ndr), i ragazzi stanno diminuendo. Ma andando più in centro sono ancora tanti perché nel momento in cui ne recuperi uno, ne arrivano altri. Ora anche il governo sta cominciando a occuparsi della loro protezione. Forse da qui a cinque anni avremo meno bambini in strada.

Ci sono bambini che non hanno famiglia? Se sì, come funziona il lavoro con loro?

MO: Ci sono alcuni bambini che non hanno i genitori, ma anche in quel caso ci si affida a un parente. Nessuno nasce senza un padre e una madre, facciamo abitualmente il tracciamento della famiglia e anche se è molto lontana, la raggiungiamo.

Durante i laboratori artistici ci siamo sentiti i benvenuti, abbiamo ricevuto rispetto e affetto. Ma qual è la percezione da parte delle altre persone che non vivono in strada? Sappiamo che esistono forme di discriminazione nei loro confronti. Una volta c’è stata una ragazza del quartiere che li ha presi in giro, li ha apostrofati come “animali”. Pensi che il carnevale possa mettere in discussione questa percezione?

MO: La gente considera questi ragazzi dei ladri, teme che possano farle del male. Soprattutto le persone appartenenti alle classi sociali più alte li giudicano per come si vestono, perché sono sporchi, si domandano cosa mangiano. Aspettiamo il carnevale perché in quel momento noi saremo con loro e la speranza è che la gente possa guardarli con occhi diversi. Molte volte hanno una percezione negativa anche nei nostri confronti: si chiedono “Come puoi fare questo lavoro?”. Il carnevale è uno strumento per far comunicare la comunità con i ragazzi.

Concludiamo questa conversazione ricordando un disegno fatto a Kawangware. Era di Mavo, ha disegnato un bellissimo negozio di ferramenta. Su un lato c’era un paesaggio, un’alba. O un tramonto forse. A fianco aveva scritto “Terra dell’orrore”. Così gli abbiamo chiesto il perché di quella frase e ha risposto che definiscono la polizia “orrore” perché a volte i poliziotti arrivano e li picchiano senza motivo, come se non avessero alcun valore. Come possono il carnevale e le altre iniziative come la Giornata internazionale dei bambini di strada aiutare sul piano politico?

JW: Penso che questo carnevale, questa festa, in cui la gente ci vedrà tutti insieme farà sorgere domande e penso che la nostra risposta sarà far capire che queste persone sono importanti, sono esseri umani come tutti ed è solo a causa di alcuni problemi che sono finiti in strada. Credo che la maggior parte delle persone pensi che scappino di casa e basta, mentre ci sono molti fattori che spingono un ragazzo a compiere questa scelta. È importante cercare di capire quali sono i motivi prima di farsi un’idea. Anche nel caso dei poliziotti, il motivo per cui si comportano così è che pensano siano dei ladri e che, in alcuni casi, possono essere associati a criminali e altre situazioni che la società non accetta.

Il video di Derek MF Di Fabio

By cherimus,

Un matatu può volare, o quasi: infischiarsene, saltare il traffico, levitare leggero. Passeggeri, motore, gomme, trasmissione e marmitta compresi, fatti di stoffe leggere e luce. Un ferramenta anche lui può volare, in preda al vento e al sole: lamiere, badili, seghe, martelli, bilance, tutte con poteri speciali, saettanti. Un altro matatu poi, può essere lungo e sinuoso come un drago, e serpeggiare per le vie, accogliente e danzante all’interno, accessibile da ogni parte: ogni punto buono per entrare e uscire, ogni ansa perfetta per improvvisare un canto o un ballo. Una casetta di bambù e plastica è a bordo di un automobile, a spasso: irriverente, piratesca e solido rifugio allo stesso tempo. Una foresta incantata, di alberi altissimi, grondanti di foglie rumorose: in cima ombrelli e abitanti fantastici a guardare giù. Il mondo sottosopra di Nairobi appariva quel giorno, il 14 aprile 2018, dopo due mesi di laboratori sotto il sole e sotto la pioggia: il mondo delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi che vivono per le strade di Kawangware, Mtindwa e Ngong. 

Ognuno di questi luoghi ospita una base e ogni base è una grande e complessa famiglia, in cui ci si spalleggia, ci si sostiene, ci si accoglie, ogni giorno. Vulnerabili e discriminate dalle classi più ricche, queste famiglie hanno creato una festa meravigliosa, hanno dischiuso il loro universo, l’hanno condiviso con noi; la loro immaginazione e il loro lavoro hanno dato forma, una forma unica, che non somiglia a niente di mai visto, al Carnevale di Nairobi, il primo mai realizzato. 

La festa si è ripresa le strade: quel giorno il quartiere Riruta-Satellite sembrava davvero di tutti e brillava perché aveva al centro i suoi bambini e ragazzi: la bellezza di Nairobi è la loro bellezza. Il video racconta la storia di Carnival! Nairobi, raccoglie tanti pezzi diversi e prova a metterli insieme; il punto di vista è quello di Derek MF Di Fabio, artista visivo che ha supportato i ragazzi nei laboratori insieme a Cherimus, agli educatori di Koinonia e alle ragazze e ragazzi dei centri di accoglienza; Derek si focalizza sui ragazzi che vivono in strada e su tutte le collaborazioni con artisti e artigiani locali che unendo le forze hanno reso possibile il Carnevale. 

La bellissima colonna sonora del video è stata anch’essa prodotta in strada, attraverso laboratori condotti dal musicista Luca Garino. Alla sua finalizzazione hanno lavorato giovani musicisti di Nairobi (MegaLink Ent Studio) con anch’essi alle spalle l’esperienza della vita di strada. 

Il video racconta anche l’incontro tra Ibrahim Nehme, uno dei due artisti in residenza per Darajart 2018 insieme a Luca Garino, e Byub, un poeta che vive in Kabiria Road. Ibrahim, ci dice, ha incontrato il suo essere poeta a Nairobi. Nel video le parole di Byub sono accompagnate da immagini di un albero caduto durante una tempesta a Kivuli Centre.

Buona visione.  

Dexi Tian

By cherimus,


Interview with Dexi Tian (English/French)

by Derek MF Di Fabio

It’s funny how some expressions and sounds stick to our minds. In English there is an expression called Earworm, you use to say when you wake up with a song and it doesn’t go away, so every now and then you’ll find yourself sing to it. It can be contagious, and the people with you may sing that same song without really knowing why. Probably that song will influence your rhythm and your moves during the day. With the classes, we went to look for materials on the beach of Fontanamare and in a park in Domusnovas, we had to translate your way-of-seeking, your searching method, to the children: how would you describe it? How would you describe your gaze?

Selon moi l’art est partout. Ca veut dire qu’il faut aimer le penser et garder la curiosité. Je travaille beaucoup avec les objets trouvés. Ou plutôt ce sont eux qui semblent me trouver, par hasard, lors de mes promenades. C’est grâce à notre société : elle nous propose trop de marchandises,partout, tellement qu’elles finissent par déborder et devenir une partie de la nature. Souvent elles se manifestent sous forme de pollution. Dans cette société de surconsommation certains voudraient régler le problème par de multiples réglementations voir dans certains cas par l’interdiction.Mais je pense que c’est mieux de nous changer nous mêmes, changer notre façon de vivre . A chacun de trouver sa façon de vivre, savoir ce dont on a vraiment besoin, ne pas simplement suivre la mode. Trouver son propre sens dans la vie.

C’est alors que la vie deviendra simple et claire. C’est comme lorsqu’un objet semble m’attendre là, au coin d’une rue.

Je réfléchis beaucoup aux relations entre la vie et l’art. Parfois je me dis qu’ils sont pareils, d’autres fois qu’ils sont différents.  

Le plus intéressant pour moi c’est quand l’art se fond dans la vie, c’est alors que l’art se transcende.En fait toutes les choses ont une utilité, ça dépend seulement du regard qu’on leur porte. Tout comme les individus: chacun est utile dans la société. Il faut juste trouver sa bonne place. Tout est possible, il faut juste agir.  

It was very interesting to bring your practice to the children of four different schools in Sulcis, what do you remember more from these meetings?

Je trouve que les enfants sont très ouverts, ils ont des pensées incroyables, très différentes les unes des autres. Ils sont très intéressants. Surtout ils peuvent les concrétiser très vite avec tout ce qu’on a trouvé, ca c’est incroyable. J’ai passé beaucoup de temps pour réfléchir pour trouver cette façon de travailler, mais pour eux ça a l’air tellement naturel. Malgré la difficulté de la langue, on a bien travaillé. Et on s’est bien amusés. J’en garde un souvenir souriant.

Every morning we crossed some mountains to reach the Iglesiente area. Some mornings were super sleepy that we couldn’t speak, other mornings were full of clouds and driving-down the hills was like diving into a foamy dream. Sheeps were crawling particular fields, once we catch three identical shepherd dogs, the water of a spring gets out from a plastic pipe on that route, another time we had to slow down following a nails-slow truck, and once we stopped to check a massive hotel-restaurant that was never finished and it sleeps for the last 30 years. One of those mornings we spoke about materials: your work is based on “sought-for objects”, in which objects you are interested to?

Chacun a ses goûts . Le goût des aliments , des vêtements,la vie quotidienne. Chacun est différent. Tout comme il y a différents types de collectionneurs. Moi par exemple ce que je collectionne ce sont les objets .   j’aime bien les objets en bois , en verre, et des   pierres . J’aime bien leur forme, leur matérialité. Mais aussi dans chaque objets, il y a le temps, le passé et les traces. Avec l’espace ,Ça raconte beaucoup d’histoire. J’adore les mélanger et créer des hybridations pour trouver de nouvelles relations entre eux. C’est ça qui m’amuse bien.

All your sculptures are composed by usedobjects, objects that humans had touched, scrubbed, eaten, thrown, lost or forgot.I was looking online a sculpture you were telling us about, but I couldn’t found it: some human phalanxes made out in some metal, you had found them in a burnt house therefore those finger partly fused together. Or you produced for us two sculptures, we walked with you to collect some of their elements you had seen before during a walk: some animal-jaws and some ceramic parts were soaked in the dirty water of a little canal, under a bridge, in the periphery of the small village where we are based, Perdaxius. It seems that most of your elements came from a twilight zone, although they had been passed and dance under the spotlights. You came from a big Chinese city, and then you moved to Paris and recently you moved to the woods outside the French capital: what is a periphery and what is its role?

Pourquoi m’intéresser à la banlieue. Car je trouve que les banlieues sont les lignes entre la société et la nature. Sur cette ligne, on voit les relations des hommes avec la nature. Parfois c’est la guerre, parfois il y a une harmonie sensible. Et c’est cela qui a posé beaucoup de questions. La question de pollution bien sur, la question de vivre ensemble, comment améliorer la relation ?Là c’est le   point qui m’intéresse.

Then these elements are composed: as we were setting up in the school, all the different tools and instruments are tidily ordered and then you operate. “Le cadavre exquis” jumps to my mind but also some notions of Chinese language you presented to the classes: how a number of ideograms next to each other means an object, or how, if repeated together, the same ideogram can shift its meaning and become multitude / an abstract idea…. is it connected to your work or I’m just making it up?

Oui , bien sur. Il y a ce sens, mais pas seulement. L’écriture chinoise est une ancienne culture, qui perdure jusqu’à présent. C’est la plus ancienne écriture qui   est utilisée jusqu’à maintenant. En tout il y a plus de dix mille caractères. C’est une richesse inimaginable. Il est   comme une ligne qui relie le présent et le passé. On peut voir la vie des anciens et leurs évolutions . Et ça va évoluer en continu. Les écritures c’est comme les racines ,ça sort naturellement dans ma pensée et dans mes travaux. Les objets je les vois comme des mots, et les installations comme des poésies, une poésie visuelle en dimension.  

…and to conclude: can you tell us few things about the association you are part of?

L’association VIA est une association d’ art contemporain qui a été créé par plusieurs artistes et commissaires. L’Idée c’est un chemin pour l’art. Son esprit est dans la pratique. C’est comme s’il n’y avait pas de route au début, ce sont les gens qui marchent dessus, qui, avec le temps, ont créé un chemin. L’art a besoin de curiosité et de  courage.et  les pratiques dans la vie. Parfois , les vies des artistes ne sont pas toujours faciles, surtout à la sortie de l’école. l’esprit de l’association c’était d’aider les jeunes artiste à trouver leurs chemins, pour encourager et avancer . Par exemple trouver des endroits et des opportunités pour exposer , montrer leurs travaux, et parfois organiser des courtes résidences etc …Mais maintenant, la route s’est un peu perdue dans des méandres. Il faut beaucoup de travail, continuer d’avancer, trouver la bonne route.  

Enfin merci à l’association cheremus, qui m’a donné cette chance de travailler avec les enfants. C’est un super projet. J’ai passé des moments inoubliables en Sardaigne. J’espère que l’association va continuer, et grandir. Merci encore, à bientôt.  

Per il terzo appuntamento con i laboratori dei Giardini Possibili, Cherimus collaborerà con l’artista Dexi Tian, selezionato da Martina Köppel-Yang, co-curatrice della biennale d’arte di Sichuan 2018 (Cina).

L’artista nelle prossime due settimane lavorerà con i bambini delle scuole elementari di Villamassargia, Domusnovas, Musei e Iglesias, affiancato dagli artisti Derek MF Di Fabio e Carlo Spiga.

Il giorno 18 di gennaio è prevista una presentazione del lavoro di Dexi Tian aperta a tutti presso la Casa Occheddu di Domusnovas.

Dexi Tian, nato in Cina nel 1979, vive e lavora a Parigi. Poeta dei materiali, Dexi sviluppa un rigoroso lavoro di ricostruzione della realtà partendo da elementi recuperati. Per lui, gli oggetti sono come parole: riassemblati e installati in nuovi spazi, danno loro un’altra risonanza. .Nel tentativo di conciliare arte e vita, è anche interessato a trovare un posto alla permacultura nella sua arte.
Dexi Tian ha partecipato a numerose mostre e festival in Europa e in Asia: Museum Liu Haisu, Shanghai (CINA), Gallery LIUSA WANG (FR), the 6B, Paris (FR), Gallery PARIS HORIZON, Paris (FR), Abbatiale Saint-Ouen, Rouen (FR), CIGE, Beijing, (CHINA), Kunstverein Nurtingen (DE), La Papeterie de Seine, Parc du chemin de l’Ile, Nanterre (FR), Gallery IEFO, Paris (FR), Gallery AREA, Paris (FR), Gallery Tamtam Art Taipei (TAIWAN), Gallery Espace des Arts Sans Frontières, Paris (FR), gallery International City of Arts, personal exhibition, Paris (FR), Castel Liversan, Haut Médoc, Bordeaux (FR). Dexi Tian lavora anche al di fuori degli spazi istituzionali, con workshop e altre forme ibride.

Amy Sow

By cherimus,

Amy Sow, artista visiva e attivista di Nouakchott, Mauritania, ha chiuso il ciclo di quattro laboratori del progetto I giardini possibili.

Il racconto del suo impegno nella lotta contro la violenza sulle donne, e della centralità che nel suo lavoro occupa la tutela dell’infanzia attraverso l’educazione all’arte è stato un dono prezioso per noi e per tutti i bambini che l’hanno accolta con calore durante le sue due settimane in Sardegna.

L’arte per Amy è uno strumento irrinunciabile per l’affermazione di sé, per la liberazione dell’individuo per la lotta contro l’ineguaglianza e l’ingiustizia. Essere artista in Mauritania è molto difficile, ci ha detto, essere donna e artista lo è ancora di più. Il suo sogno è quello di creare l’accesso all’educazione artistica, per tutti, soprattutto per i bambini e per i ragazzi che non hanno questa possibilità. Art Gallé è nata così, da un sogno. Una casa per l’arte costruita con materiali di recupero, soprattutto legno, che accoglie tutti, che invita all’incontro, allo scambio di idee e di esperienze. Amy Sow ha parlato ai bambini del suo bellissimo sogno realizzato e di tutte le difficoltà incontrate lungo il percorso e ha risposto alle loro mille domande. Ha raccontato di come il suo lavoro sia una forma di lotta e resistenza contro forme di oppressione e violenza come i matrimoni precoci ancora molto diffusi in Mauritania e contro le discriminazioni di genere.

La seconda settimana i bambini sono tornati nei loro giardini e insieme a Amy hanno costruito con le loro mani, in grande, i loro sogni. Per una settimana lo spirito di Art Gallé, il sogno di Amy, ha animato noi di Cherimus e tutti i bambini. Con canne di Arundo Donax e materiali recuperati alla piattaforma ecologica di Iglesias, tempere e pennelli i bambini hanno dato forma concreta alle loro idee maturate nel corso di tre mesi di laboratori.
Ecco il “muro sonoro” di Domusnovas, che trasforma la classe in un grande strumento musicale fatto di coloratissime canne sospese. Ecco le porte/sculture del fantasioso campo da gioco di Villamassargia costruite in scala 1:1, e subito utilizzate per inventare nuovi giochi.
Il sogno di disegnare nel proprio parco e di organizzare una mostra annuale tra gli alberi diventa realtà a Musei: ogni alunno sceglie un compagno da ritrarre e da cui farsi ritrarre; ecco una fila di volti, una vera e propria galleria di ritratti en plein air apparire tra albero e albero, diventare il cuore di una piccola festa mattutina.
Iglesias dà corpo a un personaggio importante, a una donna che ha lottato per poter essere libera di pensare: una gigantesca Ipazia di più di 5 metri, stilizzata come una costellazione, passeggia miracolosamente per il parco di Iglesias e ci consente di vedere oltre le case grazie ad una camera posizionata sui suoi occhi.

Per un breve attimo i sogni sono realizzati, i giardini possibili sono diventati, grazie ai bambini e ad Amy Sow, delle piccole utopie realizzabili.

Amy Sow spiega Art Gallé a Iglesias
Un abbraccio con i bambini di Iglesias
Amy Sow risponde alle domande dei bambini di Musei. Foto di Margherita Riva
Amy Sow osserva i materiali prodotti dai ragazzi nei precedenti workshop.Foto di Margherita Riva
Amy Sow monta le canne nella classe di Domusnovas. Foto di Margherita Riva
Le canne di Arundo Donax trasformano l’aula di Domusnovas in un grande e coloratissimo strumento musicale. Foto di Margherita Riva
I bambini di Domusnovas suonano le canne della loro installazione sonora. Foto di Margherita Riva
I bambini di Domusnovas suonano le canne della loro installazione sonora. Foto di Margherita Riva
La porta “Triangolo” del nuovo gioco immaginato dai bambini per il parco di Villamassargia. Foto di Margherita Riva
una palla viene lanciata verso la porta osso-microfono. Foto di Margherita Riva
I bambini davanti alla porta gattorso, pronti a giocare. Foto di Margherita Riva
Sullo scuolabus verso il parco di Iglesias. Foto di Margherita Riva
Osservatorio Ipazia in costruzione
Foto di gruppo con Ipazia. Foto di Margherita Riva

Amy Sow

Oscillant entre le figuratif et l’abstrait, j’adore les sujets relatifs au vécu de la femme. Je dénonce les violences faites à ces dernières. Ce phénomène est toujours d’actualité, même dans les lieux où les gens sont plus émancipés la femme est toujours violentée. Peindre pour moi est la meilleure façon d’exprimer ma liberté. Une liberté que voudrais vivre pleinement et que je souhaiterais à toutes les femmes qui peuplent ses contrés.

Amy Sow

Alternando figurativo e astratto, amo le tematiche legate al vissuto dalle donne. Denuncio la violenza fatta nei loro confronti: questo fenomeno è sempre di stretta attualità. Anche nei luoghi dove le persone sono più emancipate la donna è sempre oggetto di violenza. Dipingere per me è il modo migliore per esprimere la mia libertà. Una libertà che vorrei vivere pienamente e che auguro a tutte le donne del mondo.

Amy Sow

Amy Sow è artista visiva e attivista per i diritti delle donne

Nel 2017 costruisce e apre Art Gallé, uno spazio interamente realizzato in legno dedicato alla promozione dell’arte e degli artisti di tutta la Mauritania. Obiettivo del progetto è quello di offrire uno spazio dove ognuno possa sentirsi a proprio agio ed esprimersi attraverso l’arte, imparare, scambiare idee e crescere, in un contesto purtroppo privo di luoghi dove potersi formare alle arti visive. Il nome dello spazio significa nella lingua pular “torna a casa”.

Il suo lavoro, prevalentemente pittorico, è indirizzato soprattutto alle donne più emarginate e indifese, vittime di violenze: il lavoro di Amy parla direttamente a loro e mira a sensibilizzare la società e le istituzioni che ancora non combattono efficacemente gli episodi di violenza e discriminazione verso le persone più vulnerabili.

Nel 2019 è stata scelta dal quotidiano Le Monde tra le 5 personalità africane da seguire e la rivista New African l’ha indicata tra le 100 personalità dell’anno dell’intero continente Africano nella sezione Arts et Culture.

Amy Sow visita il giardino di Domusnovas

Caro Giacomo 2017

By cherimus,

10 anni di Caro Giacomo
CIAK! Kibera nel Sulcis

Cherimus come ogni anno, a luglio, inaugura Caro Giacomo 2017, un progetto artistico annuale che, dal 2008, è occasione di incontro fra artisti provenienti da tutto il mondo e il piccolo Comune del Sulcis per contribuire alla festa patronale.
Nel 2017 Caro Giacomo celebra il suo 10° anniversario con la presentazione di CIAK! Kibera – un progetto di cooperazione internazionale tra la Sardegna e il Kenya.

Il video “Bisu ndoto” realizzato a Kibera, Nairobi, è stato presentato in occasione di una presentazione al paese che ha visto la partecipazione di Arrogalla, Makika e i Don Leone in un concerto nella Piazza di Perdaxius.

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Arrogalla e Makika in concerto a Perdaxius, sullo sfondo Charles Nshimiyimana mentre realizza la statua di Santu Jacu

 

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Donato Cherchi e Matteo Leone, alias, i Don Leone

Con CIAK! Kibera, Cherimus ha creato un ponte tra la Sardegna e Kibera, una tra le più estese baraccopoli del Kenya. Nel mese di febbraio 2017 Cherimus ha incontrato e lavorato con studenti delle scuole di Iglesias insieme ai ragazzi richiedenti asilo ospitati da Casa Emmaus. Nel mese di aprile 2017, a Nairobi si sono svolti laboratori di sceneggiatura, regia, scenografia e musica con ex bambini di strada proprio a partire dalle idee e riflessioni nate in Sardegna.

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Titus “The Dream Catcher” è il protagonista nel videoclip BISU NDOTO Foto di Vince Cammarata

Il punto di partenza del progetto sono i sogni dei ragazzi, che hanno preso forma nel video che è stato presentato a Caro Giacomo 2017. La sceneggiatura è stata realizzata durante i laboratori dallo scrittore e giornalista Guido Bosticco, le riprese sono del regista Andrea Canepari, le scenografie sono dell’artista Derek MF di Fabio e la colonna sonora è curata da Francesco Medda – Arrogalla.

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Francesco Meda “Arrogalla” durante i laboratori nel Production Studio di Kivuli, con Charles “Sober Boy” Kaylech, Hussein Farouk “the tall guy” Ali, Idris Abdul Ismail, Mopel “Original Xloader”

BISU NDOTO, in vinile e digitale, è disponibile online e durante le presentazioni.

Le musiche sono state composte da Arrogalla e il packaging è di Derek MF di Fabio

L’edizione Caro Giacomo 2017 è organizzata da Fiammetta Caime, Matteo Rubbi, Emiliana Sabiu, Carlo Spiga (Cherimus), con il contributo del Comune di Perdaxius.
Il progetto CIAK! Kibera è stato realizzato in collaborazione con il Comune di Perdaxius, il Comune di Narcao, Associazione Casa Emmaus, Teatro di Sardegna, Ong Amani, Associazione Koinonia di Nairobi.
CIAK! Kibera è finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna, Legge Regionale 11 aprile 1996, n. 19 , Norme in materia di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e di collaborazione internazionale.

Bisu Ndoto: il video

By cherimus,

Un bambino osserva il quartiere di Kibera dall’alto, lo indica, il suo dito come un’antenna. Lo sguardo è determinato: monta come uno strano apparecchio sulla testa, da lì partono dei fili che arrivano dritti alla mano-radar: una tecnologia di cui non sappiamo nulla. Questo personaggio esplora le stradine di Kibera, saluta pugno contro pugno i passanti e scatena il sogno che questi si cullano nella testa. Eccoli uno dopo l’altro, i sogni: il supereroe Mr Impossible (e tutti gli altri supereroi di Kibera, progetto del collettivo di artisti Maasai Mbili), lo stilista per supereroi, il progetto di un viaggio sulla Luna con astronavi fatte di Ugali (polenta tipica del Kenya) per fare festa con gli alieni, un ingegnere abilissimo e una pilota aerospaziale pronti a raccogliere la sfida; l’acrobata, Dj Max che si esibisce sui Matatu, la cantante Beautiful Stranger che incide il suo primo singolo e tanti altri. Il bambino che legge i sogni raccoglie dietro di sé tutti i bambini della città e il tutto alla fine si trasforma in una grande festa, avvenuta veramente, nel mezzo del quartiere di Kibera, tra i suoi negozietti, i suoi bar, le sue chiese e moschee, le sue mille attività artigianali.

Bisu Ndoto, il titolo del videoclip, vuol dire “sogno” in sardo e swahili, e raccoglie le due due anime del progetto, che ha preso avvio con alcuni laboratori nelle scuole ad Iglesias, Sardegna, nel febbraio del 2017, e che ha vissuto la sua fase centrale e finale con i laboratori di cinema, arte e musica a Nairobi.

Il video si basa sui sogni di un gruppo di bambini e ragazzi provenienti dai centri di recupero di Kivuli e Ndugu Ndogo: Albert, Allan, Amos, Arafat, Cate, Cristal, David, Dennis, Domitila, Douglas, Evan Kibe, Jeremy, Mary, Michael “MC Barr” Barnabe, Newton, Peter, Phylis, Rebecca, Samuel, Samuel, Sarah, Shedrak, Stella, Stephen, Simon, Teddy, Titus, Vanessa. Hanno partecipato al video Maasai Mbili, con il loro progetto “The Superheros of Kibera” e Njung’e Peter.

Il video è stato girato e montato con i ragazzi come protagonisti dal regista Andrea Canepari, con il supporto di Guido Bosticco, Guido Mariani, Cherimus e degli stessi ragazzi.

La musica, prodotta da Francesco Medda nello studio di registrazione di Mega Link Ent di Kivuli Center, contiene i contributi di: Charles “Sober Boy” Kaylech, Hussein Farouk “the tall guy” Ali, Idris Abdul Ismail, Mopel “Original Xloader”, Carlo Spiga “Makika”, Guido Bosticco and Andrea Canepari. Il missaggio è stato realizzato da Francesco Medda “Arrogalla” e Carlo Spiga.

I costumi e gli oggetti di scena sono stati realizzati durante workshop guidati da Derek MF Di Fabio. Le storie sono state scritte e messe in scena durante workshop diretti da Andrea Rossi, Matteo Rubbi e Emiliana Sabiu. Le fotografie di scena sono state realizzate da Vincenzo Cammarata.

Hanno collaborato alla realizzazione degli workshop e del videoclip: Chiara Avezzano, Fiammetta Caime, Camilla Garelli, Vincenzo Cammarata, Jack Matika, Boniface Okada, Niccolò Terzi. Un grazie speciale ad Alberto Colzani per il suo supporto.

Sarah, Vanessa, Domitila, Rebecca e Phylis durante le riprese del volo spaziale. Foto: Vince Cammarata
Sarah, Vanessa, Domitila, Rebecca e Phylis durante le riprese del volo spaziale. Foto: Vince Cammarata
Sarah, Vanessa, Domitila, Rebecca e Phylis durante le riprese del volo spaziale. Foto: Vince Cammarata
Sarah, Vanessa, Domitila, Rebecca e Phylis a Kibera. Foto: Vince Cammarataa
Foto di gruppo all’ingresso di Kivuli Center. Foto: Vince Cammarata
Titus durante le riprese a Kibera. Foto: Vince Cammarata
Rebecca e Phylis nel matatu prima del concerto di Dj Max/Peter. Foto: Vince Cammarata
I “Superheroes of Kibera”. Foto: Vince Cammarata
I “Superheroes of Kibera”. Foto: Vince Cammarata
Phylis. Foto: Vince Cammarata

Bisu Ndoto: il 45 giri

By cherimus,

La colonna sonora del video Bisu Ndoto è il risultato dei workshop musicali guidati da Francesco Medda. Il musicista sardo ha lavorato insieme a Charles Kaylech, Hussein Farouk Ali, Idris Abdul Ismail e Mopel nel production studio di Kivuli Center (Mega Link Entertainment). Oltre alle voci e alle parole dei musicisti coinvolti il brano è fortemente caratterizzato da una ricerca avvenuta sul campo dei suoni del quartiere e della città. Per tutto il mese di aprile, il workshop non si è fermato un attimo: ha raccolto suoni e luoghi, le ore del giorno e della notte, ha intrecciato i passi di Charles, Farouk, Idris e Mopel tra le vie della città, ne ha intrecciato le lingue: Maasai, Kiswahili e Sweng, lo slang di alcuni quartieri di Nairobi che combina Inglese e Swahili. Il brano ha visto anche la collaborazione di Carlo Spiga, la cui trunfa sarda accompagna la voce di Mopel all’inizio del brano, di Guido Bosticco e Andrea Canepari.

Il brano finale, prodotto da Francesco Medda e mixato insieme Carlo Spiga è diventato il lato A del 45 giri “Bisu Ndoto”, e una delle tracce di un album che raccoglie e mette in luce i preziosi contributi dei giovani musicisti Keniani. I ragazzi coinvolti nel workshop musicale sono tutti all’inizio del loro percorso professionale dopo aver scelto di lasciare la vita di strada e di intraprendere un lungo percorso riabilitativo ed educativo nei centri di Koinonia Community. Il brano è stato inciso e prodotto nello studio di produzione Mega Link Ent, gestito tra gli altri da Idris Abdul Ismail e Hussein Farouk Ali.

Proprio dei musicisti Hussein Farouk “the tall guy” Ali e Idris Abdul Ismail riportiamo le parole dei loro pezzi:

 

Idris Abdul Ismail

 

Kama kawa ida
Kama kata gave inanilipa tax ushuru
Niko zile za icecream na kupiga nduru
zile za kubangaiza na ku park Uhuru
ju kwa rap naingiza paper si ma ndururu
daily on air ka arufu ya samaki
design na ongea ni ile ya Kibaki
niko left na right ka mse ameachiwa haki
ku outshine ma mc ka vitu sitaki
so nipate ju ya banana nikikula ndizi
ju mtaa wanani support na ulizi

 

Come al solito
Come al solito il governo mi paga le tasse
(significa: come al solito pago le tasse del governo – in senso ironico)
mi sto gustando un gelato e mi diverto in giro (gridando)
perdo tempo al parco di Uhuru
quando rappo faccio soldi (banconote) non spiccioli
sto tutto il giorno nell’aria come l’odore di pesce
il mio modo di parlare è come quello di Kibaki
(parlo come Kibaki)
dappertutto sono libero come chi ha visto riconosciuti i propri diritti
eclisso tutti gli altri rapper (musicisti) come tutto quello che non voglio (che non mi piace)
così mi trovi sopra una banana mentre mangio una banana
perché la mia famiglia mi aiuta e mi dà sicurezza
stizza ascolta

 

Hussein Farouk Ali

 

I look up to the mirror and I see
I see myself standing I’am the new born king
Haters talking mad they are talking more about me
But the truth of the matter nobody knows about me
And music is my life ne mu manyire nyi vosi
– e lo sanno tutti – everybody knows that –
the way I spit the rimes people think I’m from Jozi
Holla we holla we aint flossing
Ata mama manyire mi ni murosi
– even my mam knows I am the best –
The way I spit rimes flow rimes I am a bola
hold up
the true definition of a bola
hold up
I’m flipping the game i’m changing the game I make you go insane
I am looking kind a young but I bet I am the king
I’m Obama my speakers make you go astray
I’m Osama my name makes you feel the pain
because I was born a star
I was raised a star
from 0 to 100 now I own my stuff

Ciak! Kibera: I laboratori

By cherimus,

Alcune immagini dagli workshop di scrittura, di messa in scena, di costruzione dei costumi e degli oggetti. 19 racconti e 19 sogni prendono lentamente vita: storie di piloti, ingegneri, inventori, Dj, supereroi, viaggiatori, acrobati, cantanti, stilisti, poeti, sportivi.

Nel frattempo nel production studio di Mega Link Entertainment, sempre a Kivuli Center, Francesco Medda incontra i musicisti Charles Kaylech, Hussein Farouk Ali, Idris Abdul Ismail e Mopel e cominciano a provare i pezzi del brano che diventerà la colonna sonora del videoclip Bisu Ndoto…

 

Titus impegnato a completare la sua storia

 

 

Alcuni dei sogni scritti dai ragazzi esposti nel laboratorio di Kivuli Center

 

Tonny e Stephen AKA Mr Impossible visitano l’ufficio dell’ingegnere Amos e dei suoi assistenti (Alan e Domitila) per coinvolgerlo nella costruzione della navicella spaziale. Messa in scena di alcune storie durante gli workshop a Kivuli Center

 

Prima fase del laboratorio di costruzione dei costumi

 

Paul, Shedrak e Titus vestiti da abitanti della Luna

 

Domitila e Rebecca aiutano Vanessa nei preparativi per le riprese del suo sogno

 

Fasi di lavorazione del costume di Mr Impossible

La maschera di Mr Impossible disegnata da Shedrak

 

Francesco Medda nel production studio di Kivuli con Idris, Farouk e Mopel

 

Idris Abdul Ismail

 

Hussein Farouk “the tall guy” Ali

 

Charles “Sober Boy” Kaylech

 

Mopel “Original Xloader”