Intervista a Zeinixx

By cherimus,
Courtesy Zeinixx

Come nasce Zeinixx?

Dieynaba Sidibé nasce il 2 luglio del 1990, Zeinxx invece nasce nel 2008, anno in cui ho iniziato a fare i graffiti. Da 11 anni sono nel campo dell’hip -hop e mi occupo di graffiti di slam, rap e canto. Tutto è cominciato con la pittura. Ho sempre amato essere in contatto con la pittura, avere la pittura sulle mani, dipingere e lavorare su delle tele; era qualcosa che mi piaceva molto sin da quando ero adolescente. Un bel giorno ho scoperto i graffiti e sono andata ad imparare questa tecnica da “Africulturbain” dove ho conosciuto Grafixx, famoso in quel periodo per i suoi graffiti: era la fine del 2007. L’ho incontrato e gli ho detto: “Buongiorno, vorrei imparare a fare i graffitii!” Lui è rimasto sorpreso: ero la prima ragazza interessata ai graffiti. Da lì ho imparato le basi e la storia della cultura hip hop. Sono stata la prima ragazza a fare i graffiti in Senegal e sto continuando su questa strada.   

Quale è stata la tua prima opera d’arte o progetto artistico?

Il mio progetto risale al 26 febbraio del 2008 o 2009; è la stata la prima volta che ho affrontato un muro, anche se non era nemmeno un vero muro, ma un muro mobile, cioè una tela molto grande messa davanti a un muro. È stato durante la Urban Session organizzata da Africultururbain: quella è stata la prima volta che ho toccato un muro con un pennello, ma la prima volta che veramente ho potuto lavorare su un muro tutto mio è arrivata negli anni successivi.

Foto: Yaya Thiam

Che cosa pensa la tua famiglia della tua carriera? Hai il loro supporto?

Che bella domanda! (ride) Quando si parla di famiglia è un po’ difficile, soprattutto quando fai parte di certe etnie; per esempio noi siamo Peul, e non conosciamo i graffiti e tutto quanto. Già vedere che uno dei figli vuole fare l’artista è un problema, ma è ancora peggio se sei una ragazza e dici che vuoi fare dell’arte ed è ancora peggio se vuoi fare hip hop, una cultura che è stata molto marginalizzata. Fino a 5 – 6 anni fa quando chiedevo ai miei genitori che cosa pensassero di chi facesse rap, perché nell’hip hop fanno tutti rap, mi rispondevano che per loro era un ambiente di malviventi, di drogati e cose così. Questa è la percezione generale per cui puoi immaginare in questo contesto quanto può essere difficile per una ragazza entrare in questo mondo, evolversi e soprattutto lasciare un segno. Per me è stato particolarmente difficile con mia madre che non ha mai capito la mia voglia di fare graffiti e slam e mi ha sempre detto: “il giorno che ti vedo davanti a un muro a fare graffiti ti ammazzo”, ma poi mi ha lasciato fare. Era così. Dal suo punto di vista i figli devono diventare ingegneri o medici e fare i mestieri migliori e non posso prendermela con loro. Piano piano hanno capito che era la strada che avevo scelto e adesso quando parto per un lavoro è mia madre che mi trascina la valigia e mi accompagna in aeroporto. Si è trattato di vincere una battaglia psicologica: qua non si litiga con la famiglia direttamente e apertamente. Devi affrontare una battaglia psicologica e vincerla ogni volta; si vincono le battaglie ma non per forza la guerra ogni volta. La famiglia è così (ride).

Foto: Ina Makosi. Courtesy Zeinixx

Ci sono degli artisti che hanno ispirato e ispirano il tuo lavoro?

Quando ero piccola volevo diventare come Leonardo da Vinci, Van Gogh o come Pablo Picasso; mi vedevo diventare grande e dire che avevo firmato qualcosa di importante. Quando Zeinixx è nata, nel 2008, ho comunque continuato a ispirarmi a Leonardo, anche se è diametralmente opposto ai graffiti. Quello che mi piace di lui è che è interdisciplinare e multidimensionale e mi sono detta che se lui lo era perché non potevo esserlo anche io? Questa ispirazione mi ha spinto a fare rap, hip hop, slam, graffiti e anche quando faccio decorazione di interni non voglio mai mettermi dei limiti, voglio sempre uscire dalla mia zona di comfort e non voglio fermarmi dove le persone pensano che io mi fermerò. Se c’è un’artista grazie alla quale, o per colpa del quale, amo la musica questa è Oumou Sangaré, che ascolto da quando ero piccola. Non capisco una sola parola di quello che canta, ma posso cantare ogni sua canzone dall’inizio alla fine anche perché quando ero piccola ogni volta che mio padre andava in Mali o all’estero faceva sempre in modo di portarmi una cassetta. Nello slam invece l’ispirazione è Matador, che ha portato lo slam in Senegal. Prima lo slam non lo conosceva nessuno, poi lui è stato in Belgio con “Africultururbain” ed è tornato in Senegal con questa forma di poesia che nessuno aveva mai sentito. Ci chiedevamo tutti: ma cosa sta facendo? Ci ha detto che quello era lo slam e ce lo ha insegnato. Adesso dappertutto ci sono dei poeti che fanno slam, ci sono dei club in tutto il Senegal. Il Senegal ha addirittura vinto la coppa d’Africa di slam quest’anno. Sono questi gli artisti che mi hanno spinto ad andare avanti e che continuano a ispirarmi. 

Foto: Ina Makosi. Courtesy Zeinixx

È difficile essere l’unica artista donna che si occupa di street art a Dakar? Come ti senti rispetto a questo?

Oggi non sono più la sola artista a fare graffiti. Fino al 2105 sono stata la sola e la prima a fare graffiti in Senegal, poi ce ne sono state anche altre però piano piano si ritirano, non c’è costanza; un’artista visiva invece la vedi che comincia, che continua, si evolve e fa le sue mostre i suoi progetti. Con i graffiti non è così, non so come te lo posso spiegare. Quando ho iniziato io, per esempio, era un problema perché era un ambiente di soli uomini. Per esempio sono stata invitata a dipingere un muro insieme ad altri 14 artisti: erano tutti uomini e io ero la sola donna del gruppo. La gente che veniva a vedere la mostra non pensava di avere di fronte 15 artisti, ma 14 artisti e una donna e questo mi ha creato dei problemi perché le persone mi cercavano per farmi delle domande in un modo aggressivo. Mi vedevano davanti al muro e mi venivano a dire “ah sei una donna e dipingi”: questo è aggressivo. Aggredire una persona che ha come solo proposito quello di esprimersi attraverso l’arte e di condividere quello che fa, di far venir fuori sé stessa e ricordarle invece che è una donna e non un’artista… Perché una donna non dovrebbe dipingere? Da quel punto di vista è stato difficile, ma non ho mai vissuto questa emarginazione perché tutti gli artisti hanno sempre avuto un profondo rispetto per me e mi hanno aiutato molto, non salendo mai su una scala o un’impalcatura al posto mio, ad esempio. Quando io devo fare un graffito su un muro e salire su una scala o un’impalcatura io lo so fare. E sai perché? All’inizio questi artisti quando dovevo dipingere uno spazio molto in alto mi dicevano “vai, Zeinixx, sali”. Se vedessi la scena da fuori diresti che questi ragazzi sono cattivi, scortesi, che mi stanno marginalizzando in qualche modo, ma non è così: se quella cosa spetta a te, la devi fare tu. Sia che noi ci siamo sia che non ci siamo, tu devi essere in grado di farcela da sola. Questo mi ha aiutare a fare molte cose. Nel 2018, in Australia, ho fatto un muro di 13 metri per 6 di altezza e l’ho fatto da sola, con una scala e un elevatore. 

E comunque non sono più la sola. Per esempio recentemente abbiamo fatto un graffito sul muro del liceo J.F. Kennedy, durante la “Urban Women Week”, festival cento per cento femminile che organizziamo. È straordinario che siamo state noi, 5 donne a realizzarlo e ancora oggi la gente che passa non ci può credere che siano state delle artiste a realizzarlo: è questa la mentalità che deve cambiare.

Foto: Yaya Thiam

In Italia, così come in altri paesi in Europa gli street artists non sono bel accettati dalle autorità. Come è percepita la street art in Senegal? Trovi degli ostacoli?

Negli Stati Uniti per esempio c’è un corpo speciale della polizia che si occupa dei writers; in Europa è molto raro vedere un writer realizzare un graffito in pieno giorno a meno che non si tratti di un festival o di qualcosa di autorizzato. In Senegal i graffiti sono tollerati. Da noi chi fa graffiti vuole comunicare qualcosa legato ad un aspetto sociale, socio-culturale, non lo si fa per il proprio ego. Non vado a scrivere Zeinixx su un muro solo per scriverci Zeinixx: no, non ha senso per noi. In quanto artista senegalese non ha senso andare mettere la nostra firma sul muro, non ha niente di logico. Quello che facciamo, lo facciamo per condividere la nostra arte con gli altri, l’idea è di mettere dei messaggi, dei messaggi forti che possano essere utili alla gente che passa ogni giorno accanto al muro che abbiamo dipinto. È come la poesia, è come il canto, è come le arti visive quando vuoi veicolare un messaggio, come un giornalista che scrive il suo giornale.

Foto: Yaya Thiam

Quale è il messaggio più importante che vuoi diffondere attraverso il tuo lavoro?

I messaggi sono molti, ma il più importante per me riguarda i bambini. Ogni volta per me è importante dire ai gruppi di studenti che vado a trovare nelle loro classi e a cui mostro il mio lavoro, che hanno il diritto di scegliere che cosa vogliono diventare nel futuro. Spesso i genitori commettono lo sbaglio di scegliere al posto dei figli quello che devono diventare. Tu hai un bambino e appena cresce un po’ dici “ah, tu sarai un medico!”. Perché questo voler scegliere al posto dei bambini? Loro hanno il diritto di scegliere, di fare degli errori, di cadere, di risollevarsi, di cercare, di trovare, di dire: “questo non va, questo invece si, per cui faccio questo”. Bisogna solamente accompagnarli, e non ridirigerli verso qualcosa che un domani non hanno voglia di fare. La gente ha tendenza a vivere la propria vita e a voler vivere anche le vite dei loro bambini e su questo non sono d’accordo.

So che molti de tuoi lavori sono dedicati ai diritti delle donne. Mi puoi parlare di questo tuo importante messaggio?

Non mi occupo solo dei diritti delle donne in Senegal, ma nel mondo perché le donne abbiano tutti i diritti, che possano decidere, che possano dire sì o no. Perché non facciamo in un altro modo? Perché non partiamo dal principio che ci sono esseri umani e basta: al di là degli aspetti sociali, culturali e religiosi. La gente dovrebbe solo considerare tutti come esseri umani, che siano bambini, donne, uomini, ma che siano in primo luogo degli esseri umani, e penso che arrivati a quel punto non urleremo con forza, tutto il tempo, “i diritti delle donne!” “I diritti dell’uomo!” “I diritti dei bambini!” Li terremo presenti, ma non dovremo più gridarli come dobbiamo fare ora.

logo della band Gegò Yegó disegnato da Zeinixx

Intervista realizzata da Chiara Peru, ricercatrice dell’Università di Sassari, il 27 giugno 2019 a Kër Thiossane, Dakar

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Carnival!Nairobi, 2018. Ph: Hussein Farouk Ali

 

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I giardini possibili, Iglesias, 2019. Ph: Cherimus

 

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Sénégal ici la Sardaigne!, 2019. Ph: Luca Cheri

 

 

Informativa relativa ai contributi pubblici ricevuti nell’anno 2018

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Informativa relativa ai contributi pubblici ricevuti nell’anno 2018

Ai sensi della L. n. 124/2017, art. 1 co. 125 – 129 , modificata con L. n. 58/2019, pubblichiamo l’informativa relativa ai contributi pubblici ricevuti nell’anno solare 2020 da Cherimus
CF 90024830920

  • Soggetto erogante: Agenzia delle Entrate– P.I. 06363391001
  • Importo 1.145,03 €
  • Data di incasso 16/08/2018
  • Causale contributo: Quote cinque per mille Anno 2016 – 2015
  • Soggetto erogante: Regione Sardegna – P.I. 03072820925
  • Importo 241,81 €
  • Data di incasso 07/12/2018
  • Causale contributo: Contributi per l’abbattimento dei costi obbligatori di assicurazione dei volontari

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By cherimus,
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…nanta ca inguni ddoi essit cosa”

…there is something that goes out there, they say”

CHERIMUS SUMMER SCHOOL

July 14-24 2018


OPEN CALL
Deadline: June 10 2018

Cherimus is a not-for-profit organization founded in Perdaxius, Sulcis area, southern Sardinia, in November 2007 by a group of artists and professionals from different sectors and disciplines, based in Sardinia and all over the world.

Cherimus’ aim is to contribute to the development of the social and cultural heritage – past and present – of the Sulcis region through art, as a way of reflecting and intervening into its economic, social, political and cultural problems.

Like most marginalized areas of today, Sulcis is torn between the preservation of its heritage and its ongoing incorporation into the global sphere. Yet, the territory does not always seem to be able to actively manage this transition: its local history and identity run the risk of becoming mere ‘anecdotes’ or curiosities for tourists, rather than being consciously integrated into the real existence of communities, so as to create new avenues for culture and communal life.

Cherimus wants to open Sulcis up to inputs and experiences coming from distant places, building a bridge between regions that are geographically remote or apparently incompatible but which may nonetheless experience similar contradictions between their marginality and cultural richness. To this purpose, we have developed throughout the years a number of projects in collaboration with African, Middle Eastern and American institutions.

Cherimus Summer School is an experimental space designed to promote formal and informal discussions and exchanges among artists, researches and cultural managers. It aims to explore different forms of art-making through non-institutional teaching methods and experimental ways of sharing knowledge.

Cherimus Summer School seeks to establish a relation with the local communities’ existing energies, through the encounters we will make on our way and thanks to the guest artists we will collaborate with.

Up to 10 participants from all nationalities will be selected. The Summer School will last 9 days and will take place in Perdaxius and in the Sulcis area.

Every day of the Summer School, the selected artists will take part in the workshops organized by Cherimus’ network of artists. The workshops will give them the opportunity to get into contact with the different elements that coexist in the Sulcis area, such as landscapes, sounds, flavors, customs and traditions, which will be investigated through dynamic classes.

The outcome of the Cherimus Summer School will be defined together with the participants.

 

RANGE OF ACTIVITIES (the scheduled activities will be defined together with the participants):

– Visit to Pranedda: we will trace its untracked paths! Pranedda faces Perdaxius; it is a ancient mountain where legendary and mysterious events happen. Here you can find an article about the mountain written by Cherimus artists Matteo Rubbi and Santo Tolone: http://www.flashartonline.it/article/matteo-rubbi-santo-tolone/ 

  • Music workshops on the ancient melodies of Sulcis; invention of new and old instruments;
  • Astrosafari: we will observe the stars and invent tales during an outdoor night potluck;
  • Underwater video shooting using props made out of natural elements collected in the area;
  • Watching pink flamingos on the beach;
  • Exploration of the old Sulcis-Iglesiente mines;
  • Walks to different Nuragic archeological sites;
  • Cooking workshops with the local population from Perdaxius, focused on traditional Sulcis recipes;
  • Preparation of Cocoi, the porcupine bread with an astonishing shape;

 

ARTISTS AND STAFF CHERIMUS SUMMER SCHOOL:

  • Fiammetta Caime: She deals with coordination, administrative management and logistics of Cherimus’ projects. She lives and works in Milan. She is fond of art and people.
  • Derek MF Di Fabio: visual artist. His works are part of experiences that can be re-lived through shared memory and they can no longer be circumscribed as a who/how/where. With Isa Griese they perform as 2008daughters inquiring into the production of goods. He is part of Cherimus since 2010.
  • Matteo Rubbi: visual artist, co-founder of Cherimus with Marco Colombaioni and Emiliana Sabiu. In his works he invites the viewers to read the context in which they live and their role in society.
  • Emi Sabiu: she cofounded Cherimus in 2007, with Matteo Rubbi and Marco Colombaioni; she invents projects linked with art and people. She is from Perdaxius, where she lives and works most of the times.
  • Carlo Spiga: visual artist and musician, under the moniker of Makika. He’s part of Cherimus since 2010. He lives and work in Cagliari.

 

LOCATION : Perdaxius is located ~70 Km from Cagliari. The nearest train station is Carbonia which is reachable by train from Cagliari airport and Cagliari city centre.

Accommodation Info : A flat with three separate bedrooms, shared kitchen, living room and garden.

Technical Info : Basic working power tools and multimedia devices (printer, video-projector, audio and video recording devices).


COST : EUR 500.00
The fee includes:
Accommodation in double/quadruple fully equipped bedrooms

  • Farm to Table Breakfast
  • Workshops and seminars
  • Excursions
  • On-site support

Not included:

  • Travel costs
  • Lunch and dinner

This is the first Summer School organized by Cherimus and it doesn’t receive any external funding.
We can provide a formal letter or invitation to enable the artist to search for funding and cover the costs.

APPLICATION PROCESS

  • Language : English, Italian, French
  • We are looking for a heterogenous group of artists from different backgrounds and working on different media;
  • Art-collectives are welcome;
  • Applications may be submitted via video or audio, to support those with dyslexia, rather than in written form.

To apply, please provide:

  • a statement describing why you are interested in the Cherimus Summer School (max 500 words)
  • a portfolio and/or links to your works
  • a brief biographical note and information relating to your personal circumstances, if applicable (max 500 words)

Please send 1 PDF file compiling all the application materials to cherimus@gmail.com with the subject: Cherimus SUMMER SCHOOL
Attachment should not exceed 24 MB.
Video and sound files should be uploaded online. Please, include links and passwords, if necessary, in the PDF.

APPLICATION DEADLINE : June 10, 2018
The participants will be notified about the outcome of the selection process via email by 18th June.

The deadline for the payment of fees will be 25th June.

A minimum of 6 participants will be required to activate the Summer School.

 

For more informations contact us:
cherimus@gmail.com
Emi Sabiu +393486299861
 

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… nanta ca inguni ddoi essit cosa”

… dicono che lì c’è qualcosa”

… nanta ca inguni ddoi essit cosa”

… dicono che lì c’è qualcosa”

CHERIMUS SUMMER SCHOOL

14-24 luglio 2018


Open Call
Deadline: 03 giugno 2018

Cherimus è una associazione no-profit fondata a Perdaxius, nel Sulcis (sud-ovest Sardegna), nel novembre del 2007, da un gruppo di artisti e professionisti di vari settori e discipline, provenienti dalla Sardegna e dal resto del mondo.

Cherimus partecipa attraverso l’arte contemporanea allo sviluppo del patrimonio sociale e culturale – passato e presente – del Sulcis Iglesiente, considerando l’arte come riflessione e intervento sulle questioni economiche, politiche e culturali del Sulcis.

Come ogni “periferia”, il Sulcis, oggi, è diviso fra la conservazione della sua eredità e la spinta verso l’inserimento nella sfera globale. Tuttavia la transizione rischia di essere solo subita: la storia e l’identità territoriale rischiano di trasformarsi in aneddoto o semplice curiosità turistica, piuttosto che essere consapevolmente integrate dalle comunità locali per creare nuovi spazi culturali e di vita comune.

Cherimus cerca di aprire il Sulcis a esperienze e idee provenienti da paesi lontani costruendo un ponte tra realtà geograficamente distanti o apparentemente incompatibili, che tuttavia spesso condividono lo stesso squilibrio fra ricchezza e marginalità culturale.

A questo scopo, abbiamo sviluppato negli anni numerosi progetti in collaborazione con istituzioni di Africa, Medio Oriente e America.


Cherimus Summer School è uno spazio sperimentale pensato per stimolare una discussione formale e informale tra artisti, ricercatori e cultural manager, che esplora le diverse discipline dell’arte attraverso un metodo di insegnamento non istituzionale.
Cherimus Summer School si relaziona alle energie e tensioni presenti nella società, attraverso gli incontri che hanno luogo nel corso della residenza e grazie agli artisti che terranno I laboratori.

Saranno selezionati fino a un massimo di 10 partecipanti provenienti da tutte le nazionalità. Cherimus Summer School avrà una durata di 9 giorni e si svolgerà a Perdaxius e in tutto il Sulcis.
Durante la Cherimus Summer School i laboratori saranno organizzati quotidianamente. I laboratori offriranno la possibilità di entrare in contatto attivo con diversi aspetti del territorio del Sulcis: il paesaggio, i suoni, i sapori, i costumi e i gesti.

È prevista una restituzione la cui forma finale verrà definita durante i laboratori.

Esempi di attività previste (il programma verrà definito insieme ai partecipanti):

  • Astrosafari: workshop notturno all’aperto in cui osservare le stelle e inventare storie;
  • Escursioni attraverso siti archeologici nuragici, luoghi preistorici che segnano ancora oggi il paesaggio del Sulcis;
  • Laboratorio di cucina tenuto da Perdaxini sulle ricette tradizionali sulcitane;
  • Laboratorio musicale sulle antiche melodie del Sulcis, provenienti da un passato remoto; creazione di nuovi e antichi
  • strumenti musicali;
  • Workshop sulla preparazione del Cocoi, il pane-porcospino dalla forma sorprendente;
  • Walking workshop: esplorazione delle miniere e degli antichi sentieri;
  • Workshop di video subacquei: riprese sottomarine con oggetti di scena costruiti con materiali recuperati in loco.
  • Osservazione dei fenicotteri rosa sulla spiaggia.


Artisti e staff della Cherimus Summer School:

  • Fiammetta Caime: Si occupa di coordinamento, gestione amministrativa e logistica dei progetti di Cherimus. Vive e lavora a Milano. Ama l’arte e le persone.
  • Derek MF Di Fabio, artista visivo. I suoi lavori fanno parte di esperienze che possono essere rivissute attraverso la memoria condivisa, così non possono essere più circoscritti in un chi/come/dove. Assieme a Isa Griese, è 2008daughters, nelle cui performance si producono beni di prima necessità. È parte di Cherimus dal 2010.
  • Matteo Rubbi: artista visivo, co-fondatore di Cherimus con Marco Colombaioni ed Emiliana Sabiu. Nel suo lavoro, invita lo spettatore a leggere il contesto in cui vive e il ruolo che ricopre nella società.
  • Emi Sabiu: ha co-fondato Cherimus nel 2007 con Matteo Rubbi e Marco Colombaioni. Ama inventare progetti che riguardano l’arte e le persone. Perdaxius è il suo paese.
  • Carlo Spiga: artista visivo e musicista, con il nome di Makika. È parte di Cherimus dal 2010. Vive e lavora a Cagliari.

Location
Perdaxius si trova a circa 70 Km da Cagliari. La stazione ferroviaria più vicina è quella di Carbonia, raggiungibile in treno dall’aeroporto e dalla città di Cagliari.

Alloggio
Appartamento con tre camere da letto separate, cucina in comune, soggiorno e giardino.

Informazioni tecniche
Strumenti di lavoro di base e dispositivi multimediali (stampante, videoproiettore, dispositivi di registrazione audio e video).

Costo : 500.00 EURO

La quota comprende:

  • Sistemazione in camere doppie / quadruple completamente attrezzate
  • Colazione a chilometro zero
  • Laboratori e seminari
  • Escursioni
  • Supporto in loco

La quota non comprende:

  • Spese di viaggio 
  • Pranzi e cene

Questa è la prima Summer School organizzata da Cherimus e non riceve alcun finanziamento esterno. Possiamo fornire una lettera di invito formale per consentire all’artista di chiedere finanziamenti e coprire i costi.

Modalità di partecipazione

  • Lingue: italiano, inglese, francese;
  • Stiamo cercando un gruppo eterogeneo di artisti provenienti da diversi background, esperienze e pratiche.
  • I collettivi di artisti sono benvenuti.
  • Le richieste di partecipazione possono essere presentate in forma video o audio, anziché per iscritto, per supportare chi affetto da dislessia.


Per partecipare, si prega di fornire:

  • Uno statement che spiega perché si è interessati alla Cherimus Summer School (max 500 parole);
  • Portfolio o Curriculum Vitae e/o link alle opere;
  • Una breve nota biografica che includa eventuali informazioni personali, se necessario (max 500 parole).

Si prega di inviare un file in formato PDF che raccolga tutti i materiali suddetti all’indirizzo cherimus@gmail.com con oggetto: Cherimus SUMMER SCHOOL.

L’allegato non dovrà superare i 24 MB.

I file audio e video devono essere caricati online. Si prega di includere link ed eventuali password nel PDF

Application deadline

03/06/2018

I partecipanti selezionati riceveranno comunicazione diretta via email entro il 18 giugno.

I partecipanti dovranno versare la quota di partecipazione entro il 25 giugno.

La Summer School sarà attivata a partire da un minimo di 6 partecipanti.

Per maggiori informazioni contattaci:

cherimus@gmail.com

Emi Sabiu: +3486299861

Apparatus 22

By cherimus,

Dragos Olea del collettivo Apparatus 22 è arrivato nel Sulcis l’11 di novembre, la sua prima volta in Sardegna, la sua prima collaborazione con Cherimus. Ha passato con noi due settimane, guidando otto workshop in tutto, tra Villamassargia, Domusnovas, Musei e Iglesias più una presentazione a Villamassargia: due settimane intense per dare il via alla progettazione dei “I giardini possibili”.

La prima settimana è stata dedicata a conoscere i bambini e i parchi, a capire i desideri e i sogni dei più piccoli attraverso le loro parole e i loro disegni. Dragos ha anche condiviso il lavoro di Apparatus 22, concentrandosi su progetti pubblici realizzati in tutta Europa.

Durante il primo incontro con i bambini, in ogni paese, abbiamo visitato i quattro giardini. A Villamassargia ci occuperemo di un ex cimitero: dismesso da anni, ancora conserva tracce del viale che lo tagliava in due, cipressi e palme ai lati. I bambini hanno riconquistato lo spazio e hanno immaginato castelli e bandiere, campi da gioco dal profilo impazzito, case di fiori, tane dove cercare quadrifogli e raccogliere simboli della fortuna. Dragos è curiosissimo e fa tante domande ai bambini, accompagnandoli nel loro angolino preferito, dove sono già di casa.

Visita al parco di Villamassargia con Dragos Olea

Il giardino di Domusnovas ha al suo centro un grande albero dalle braccia aperte, un carrubo al cui interno i bambini si sono raccolti, come in un’ampolla magica. Qualcuno ha immaginato il carrubo al centro di un intricato labirinto, un luogo in cui giocare a perdersi e ritrovarsi: sull’albero al centro c’è anche una casa, raccoglie strumenti musicali. A Musei, il paese più piccolo, la classe è fatta di dieci alunni, due classi in una in realtà, una quarta e una quinta. Il paese si è velocemente spopolato, ci racconta la maestra, dopo la chiusura di Portovesme. Il giardino è una stretta lingua di verde tra due strade, difficile vederci un parco. Invece i bambini lo compongono naturalmente, estendendo i limiti di quel fazzoletto, vedendoci una scuola di danza all’aperto, un ricco frutteto di cui prendersi cura e da cui attingere frutta fresca, una pista che va su e giù dove far trottare cavalli e moto, un cespuglio dove portare i propri animali preferiti: galline, cani e gatti; e infine, un filo sospeso tra gli alberi dove attaccare i propri disegni per un festival annuale. Dragos scrive sul suo taccuino, pensa e sorride.

Lavorare a Iglesias subito dopo musei è quasi strano: sembra di arrivare da un paese remoto nel mezzo di una metropoli gigantesca. Il suo parco è il più grande dei quattro e ha come due piani: uno collinare, alto, fitto di alberi, da cui si vede un triangolino di mare tra le case, la città mineraria di Monteponi e le sue colline; rotolando ai piedi di questo su di una ripida discesa ci si trova su un prato piano su cui è bello correre liberamente. I bambini infatti corrono, su è giù, e qualcuno rotola davvero giù dalla collina e pensa che quella cosa ci debba essere assolutamente nel parco, che le discese erbose debbano essere preservate.

Nel bosco qualcuno ci vede una dimora magica, dove inventarsi incantesimi, qualcuno ci vede un planetario dove il moto delle stelle è determinato dal volo dei gufi, qualcun altro immagina nel parco dei monumenti dedicati a Ipazia e Frida Kahlo. Dragos segue i bambini, e tenta di immaginare che c’è al di là delle case, al di là delle colline, dove una bambina vorrebbe poter osservare, dall’alto di un albero.

La settimana successiva, a scuola, tutto diventa solido e sbarluccicante. I bambini hanno raccolto carta, tessuti, e materiali sgargianti per dare forma alle loro idee, farne dei modellini. Tante cose si sono trasformate dal primo incontro, i bambini hanno lavorato in gruppi unendo le idee e le forze stimolati da Dragos che ha studiato le loro idee e ha proposto tante possibili vie di sviluppo. A Villamassargia la tana è diventata una mini pinnetta, costruzione in pietra tipica della Sardegna; il campo da gioco ha un perimetro frastagliassimo che ricorda le vecchie mappe della Sardegna, qua e là sorgono porte e passaggi, elementi tutti collegati da regole del gioco ancora da scrivere. A Domusnovas vengono immaginati labirinti a forma di faccia di topo, osservatori astronomici e palcoscenici, tutto intorno al carrubo. A Musei le sbarre per la danza, gli assi di equilibrio, il circuito per i cavalli e per le moto, i fili per attaccare i disegni, diventano un’unica linea che sale e scende tra i frutteti e l’erba. A Iglesias gli animali si moltiplicano, polpi, civette, tartarughe, draghi, pandacorni e il punto di osservazione diventa un tappeto elastico arcobaleno, dotato anche di ascensore…

Al termine degli workshop c’è stato il tempo di visitare il MAN di Nuoro e, al rientro, il pozzo di Santa Cristina. Abbiamo salutato Dragos subito dopo aver visitato il mercatino delle pulci di Cagliari, una bellissima mattina di sole di fine novembre. L’avventura de “I giardini possibili” è cominciata!

Yassine Balbzioui

By cherimus,

Yassine Balbzioui è volato in Sardegna direttamente da Marsiglia dove aveva appena ultimato una residenza d’artista alla Friche la Belle de Mai.

Yassine conosce già molto bene il Sulcis e Cherimus: ha collaborato nel 2011 al progetto Happy April, realizzando laboratori in tutto il Sulcis-Iglesiente con Marco Colombaioni; ha lavorato poi nel 2013 a Masainas, Giba, Villaperuccio, Perdaxius e Piscinas per il progetto La Biblioteca Fantastica e nel 2015 al quartiere Sant’Elia di Cagliari per la parte sarda del progetto Côte à Côte, iniziato l’anno prima a Rabat, Marocco.

Principalmente pittore, Yassine Balbzioui nella sua pratica usa la scultura, l’installazione e la performance, ovunque spargendovi a piene mani una forza allo stesso tempo visionaria e giocosa che obbliga l’osservatore a ricalibrare il proprio rapporto con il mondo.

Dopo il lavoro di raccolta e sviluppo delle idee guida per i parchi effettuato con Dragos Olea di Apparatus 22, Yassine ha impostato il suo lavoro su uno sviluppo fisico dei diversi progetti emersi; si è voluto immergere nei quattro parchi raccogliendo la “sfida utopica”, così la chiama l’artista, che I giardini possibili propongono: una trasformazione che veramente parta dai bambini, non come pretesto ma come fondamento.

Le aule si sono così svuotate dai banchi e si sono trasformate di volta in volta in un muro da decorare e abbattere, in un labirinto fitto di disegni di fontane, in una linea infinita con la quale il corpo si deve confrontare e danzare, in un modello di grande scala fatto di muschio, creta, gessetti e vernice: quasi un presepe fantascientifico.

Le idee sono diventate spinta, gesto, salto e caduta. I materiali si sono mescolati fino a risultare inestricabili e così le possibilità si sono scatenate e liberate ulteriormente.

Grazie a Yassine Balbzioui “I giardini possibili” hanno viaggiato parecchio: anche loro sono diventati delle creature vive e volteggianti.

Okada Buluma: com’è nato Carnival! Nairobi

By cherimus,

L’idea del carnevale è nata da alcune chiacchierate con Marco, negli anni in cui ero in Italia, tra il 2008 e il 2009. Marco aveva l’abitudine di girare Milano per visitare le gallerie d’arte e spesso mi portava con lui. In quegli anni mi ripeteva di frequente la sua idea di portare un matatu (un minibus per il trasporto pubblico, spesso colorato, aerografato e pieno di musica ad alto volume n.d.r.) a Milano.

E parlando di questa idea venne fuori che in Europa, in Italia, esiste il carnevale, che è un’esplosione di fantasia, come lo sono i matatu. Marco si chiedeva che vita avrebbe preso la creatività keniana se trasposta in un contesto come quello del carnevale. Perché nel carnevale c’è sì tanta follia, ma è anche un’esplosione di vita, un’espressione della bellezza della vita.

Victor sventola la sua bandiera appena finita al Superpower-tool & Hardeware shop, Kawangware © Cherimus

Questa idea di carnevale si è accesa ancora di più l’anno scorso, camminando su Kabiria road, con Chiara. Ci siamo detti: ragazzi stiamo finendo Ciak! Kibera, la prossima sfida deve essere il carnevale! Una volta ho partecipato al carnevale di Acireale, il più bello della Sicilia, e lì si vedono bellissimi carri fatti di fiori che si muovono, fanno fuoco, fanno fumo, per quasi una settimana si vede tanto movimento. E questo mi ha fatto immaginare chissà cosa potrebbe nascere, cosa potrebbe venire fuori da un’esperienza del genere portata in un contesto africano. Io sarei curioso di vedere un carnevale a Nairobi, con l’impronta di strada, in Africa, e che prima o poi prenderà vita propria, con i suoi aspetti unici.

L’idea di realizzare il carnevale a Nairobi, e di farlo con i ragazzi di strada, è quasi geniale: dà l’opportunità di fare splendere qualcosa che ancora non si vede. Sulla strada ci sono tanti tesori nascosti che in genere non si conoscono finché non si va a toccarli: un diamante grezzo sembra una pietra da poco, però se si scava bene arriva a brillare. Se non si scava, se non si fa un passaggio del genere, non si può arrivare a capire e ad apprezzare quello che ci stiamo perdendo, come esseri umani, ignorando la vita dei ragazzi di strada. Il fatto che stiamo finalmente facendo questo carnevale a Nairobi, dopo così tanti anni, vuol dire che quell’idea era come un seme nella coscienza di molti di noi che piano piano ha fatto il suo viaggio e che ora sta crescendo.

© Kelvin/MegaLink Photography

Il carnevale ci dà l’opportunità di aprire una finestra magica. Per via delle condizioni in cui vivono, questi ragazzi non credono più di poter realizzare i propri sogni, che rimangono solo nella loro testa. Il carnevale, in realtà, è una finestra che consente al mondo e alla società di vedere questi tesori nascosti. Tutti noi di solito, quando guardiamo verso la vita di strada, vediamo solo cose negative, persone che vivono una situazione pietosa. Ma dando loro un’occasione, queste persone splendono, questi bambini riescono a fare cose che non possiamo nemmeno immaginare: il carnevale dà l’opportunità di vedere tutta questa potenzialità nella sua pienezza.

Vedo l’opportunità di dare voce a un bambino che comunica in una maniera che noi non conosciamo, e che in questo modo potremmo riuscire a capire, perché manderà un messaggio molto chiaro su quali sono i suoi sogni, su qual è la sua quotidianità, e questa quotidianità come la vive, come la apprezza, cosa sta imparando dalla sua esperienza di strada. Il carnevale ci porterà la possibilità di assaggiare sia i lati che noi riteniamo essere negativi della vita di strada, sia quelli positivi, che non conosciamo ancora. Ci darà l’opportunità di esplorare un mondo che non conosciamo tanto, ed è anche un’occasione per i bambini, per i ragazzi di strada di insegnarci le piccole cose che rendono la vita più bella e che stiamo dimenticando.

Quando ho visto le difficoltà dei primi workshop, ho pensato al bambù cinese che, per crescere, fa percorsi un po’ strani. Dal nostro punto di vista piantare il bambù cinese può sembrare una perdita di tempo, perché gli anni passano ma non si vede crescere niente e si è quasi tentati di smettere di coltivarlo. Invece quel bambù impiega cinque anni per creare una solida rete di radici. Allo stesso modo, in quei primi incontri nelle basi di strada, a volte difficili, si stava creando una rete di relazioni, si stavano gettando le fondamenta su cui costruire.

Costruire questo carnevale può essere faticoso, perché ogni gruppo di strada è diverso e vive un’esperienza completamente diversa dall’altro: a volte ci vuole più tempo per capire le dinamiche che si vivono sulla strada. Ma questo permette di entrare in relazione, di prendere confidenza con i ragazzi e così anche loro riescono a capire che sono arrivati degli amici che vogliono partecipare alla loro vita in un modo nuovo. Quando si raggiungerà l’intesa, la fiducia reciproca, a quel punto il lavoro prenderà una velocità che non possiamo immaginare perché ci si capirà di più e facilmente. Proprio come il bambù cinese, che dopo cinque anni spunta all’improvviso, cresce velocissimo e va molto in alto.

Questo carnevale si mette al servizio di qualcosa di molto prezioso, perché gioca sul piano dell’immagine che i bambini e i ragazzi di strada hanno di sé, e perché fa emergere la bellezza dall’esperienza che stanno vivendo. Tu puoi essere molto bello, però se in continuazione la società ti bombarda di messaggi negativi su di te, ti viene il dubbio che tu non sia bello per davvero. Quando, attraverso un’esperienza del genere un bambino riesce a fiorire, questo aiuta la sua autostima, rafforza l’idea che ha di se stesso: anche se sta vivendo una realtà difficile, capisce di essere speciale, di avere qualcosa di unico al mondo. Certo, farà tutto quello che potrà nell’affrontare le difficoltà di strada, ma alla fine c’è una speranza: non è tutto perduto, c’è ancora qualcosa che si può fare, e quello che sta emergendo nella preparazione di questo carnevale ne è testimone, è testimone che c’è vita, anche sulla strada.

Okada Buluma

Koinonia Community

Intervista con Jane Wanjiru e Mary Osinde, Koinonia Community

By cherimus,

In un pomeriggio di pausa tra un laboratorio a Ngong e un altro a Kawangware, sono andato insieme a Ibrahim Nehme, scrittore in residenza del progetto Darajart e Elisa Simoncelli, filmmaker e volontaria di Amani a Mother House, una delle case di prima accoglienza per bambini che vivono in strada, gestite da Koinonia Community e Amani. Qui abbiamo incontrato le educatrici Jane Wanjiru e Mary Osinde (d’ora in poi JW e MO), che supportano Cherimus nei laboratori artistici di Carnival! Nairobi. Ci hanno parlato del loro rapporto con le “basi”, le comunità di strada dove vivono i bambini e i ragazzi coinvolti nel progetto cominciato a febbraio e che debutterà il 14 aprile con una parata per le strade del quartiere di Riruta-Satellite.

Mary, qual è il tuo punto di vista rispetto ai laboratori che stiamo facendo con i ragazzi che vivono in strada?

MO: Questo progetto è molto positivo perché dà la possibilità ai ragazzi di strada di essere creativi, di condividere le loro idee e addirittura… ridere! Abbiamo visto alcuni dei ragazzi aiutarsi l’un l’altro nel disegnare ed esprimersi. Posso dire che i disegni ci sono molto utili perché ci consentono di immaginare cosa questi ragazzi vorrebbero essere in futuro. Questo potrebbe aiutarci soprattutto nel processo di recupero di alcuni bambini. Una parte di questo lavoro è utile in vista del 12 aprile, la Giornata internazionale dei bambini di strada visto che alcune organizzazioni potrebbero prendere spunto da Carnival! Nairobi e magari replicarlo. È un bene che avvenga uno scambio di buone pratiche tra organizzazioni e istituzioni.

Cosa significa essere un’educatrice di strada?

MO: Quando andiamo in strada incontriamo questi giovani ragazzi. Creiamo un legame per un periodo di tre mesi, conoscono i nostri nomi, risaliamo alle case da dove sono scappati così da poter conoscere le loro famiglie prima che entrino nei nostri centri. Nel frattempo stiamo con loro, facciamo attività, colazione e pranzo. Condividono i loro pensieri e si aprono con noi, a volte ci spiegano perché hanno lasciato casa e sono finiti in strada.

JW: Andiamo soprattutto nella periferia di Nairobi. Per strada parliamo con i ragazzi e cerchiamo di contattare le famiglie. Cerchiamo di coinvolgerli in molte attività: giochiamo a calcio, normalmente facciamo lo stesso con le ragazze. Organizziamo anche un torneo per ragazzi di strada in cui coinvolgiamo le diverse basi, per unirle. Le basi non sono uguali tra loro, non fanno le stesse cose, a volte ci sono dinamiche diverse. Con questo torneo le basi si conoscono e riconoscono e quindi riescono ad aiutarsi l’una con l’altra. L’anno scorso c’era un gruppo di ragazze a cui piaceva il calcio, non vedevano l’ora di giocare. Hanno anche avuto un allenatore: presso la base c’è un campo dove poter giocare. Per loro è stato entusiasmante! È stato bello coinvolgere tutte quelle basi perché non erano mai state in contatto tra loro per così tanto tempo. Ora quando qualcuno cambia base, per esempio da Ngong a Kawangware, ci si conosce già ed è come se la famiglia di strada fosse una.

Come scegliete i ragazzi che entrano nei centri di recupero?

MO: La selezione avviene per ragazzi dai 6 ai 15 anni: nelle varie basi ci sono alcuni ragazzi più giovani e il criterio è unicamente l’età. Prima di iniziare il recupero individuiamo le loro famiglie, quando non ci riusciamo ci rivolgiamo ai servizi sociali.

Cosa ti aspetti da questo carnevale?

MO: Cerco di immaginare come trasporteranno questi grandi carri e come indosseranno queste maschere, perché in Kenya nessuno ha mai visto niente di simile. La gente dirà: “Hey, da cosa sono vestite queste persone?”, conoscendo i keniani penseranno che siamo matti, ma noi sappiamo quello che facciamo.

Con quante basi lavora Koinonia Community?

JW: Sono tante, ma posso nominarne alcune: abbiamo Kawangware e Sokomjinga, Strong boys, abbiamo Vancouver e Ngong. In città ce ne sono tante: lavoriamo più che altro con Central park, CBD, Grogon, Mlango, e anche Eastleigh, Mtindwa, Muturwa, Gikomba.

Come vengono scelti i nomi delle basi?

JW: Credo che scelgano i loro nomi basandosi su quello a cui sentono di appartenere, c’è un senso di attaccamento a qualcosa: se si identificano con l’Arsenal (la squadra di calcio inglese, ndr) probabilmente si daranno quel nome. Il più delle volte si identificano con qualcosa in cui credono o che amano. I nomi si scelgono parlando, magari il nome salta fuori e qualcuno dice: “Potremmo chiamarci così” e così via. Così come gli Strong boys che si sentono forti, anche se in realtà potrebbero sembrare deboli (ride, ndr).

Nelle basi la maggior parte dei ragazzi sono maschi, è difficile per te fare questo lavoro essendo una donna?

JW: Quando vado in una base, all’inizio non mi siedo con loro. Mi limito a parlare e a dire: “Sono una sorella per te”, così possiamo parlare di quel che gli succede. Quando vedono questo approccio si sentono bene al punto che se hai un problema cercano di aiutarti perché ti conoscono bene. Quando ci sono attività puoi unirti e questo a loro piace. Ci dicono: “Anche tu puoi fare questo con noi, vieni! Andiamo avanti!”, così ti senti al sicuro.

Nella base di Mtindwa ci sono alcune ragazze, insieme ai loro bambini. Perché quando arriviamo la mattina troviamo solo ragazzi?

JW: Penso che il più delle volte, soprattutto nelle aree urbane, semplicemente la mattina le ragazze dormano da qualche parte. Ci sono, è solo che vanno altrove nella stessa zona, si nascondono e riposano.

Quali sono le vostre aspettative sul carnevale?

JW: Abbiamo molte attività, ma questa è nuova. Alcuni dei ragazzi ci chiedono: “Perché ci chiedete di disegnare?”. Quando partecipano disegnano cose interessanti, molti di loro hanno talento, si vede che non hanno mai avuto l’opportunità di tirare fuori certe cose. Sono ansiosa di vedere il carnevale, so che sarà coinvolgente! È entusiasmante, per noi è la prima volta.

Durante una delle attività abbiamo costruito le bandiere, com’è andata secondo voi?

JW: All’inizio abbiamo disegnato un tetto di lamiera – eravamo io e Victor, che ha circa 13 anni – poi dovevamo tagliare le forme dai tessuti e ho pensato: “Chissà come funziona questa cosa…”, ma poi ce l’abbiamo fatta, abbiamo tagliato il tessuto a zig-zag e ha funzionato bene.

Victor era il ragazzo più felice del mondo in quel momento.

JW: Sì, e non vede l’ora che sia domani!

Come sono organizzate le basi? Abbiamo capito che tutte hanno leader, qualcuno a cui il gruppo può fare riferimento. Come funziona questo tipo di società, ci sono delle regole?

JW: Credo che questi giovani, ragazze e ragazzi, vivano come in una famiglia. In un sistema famigliare c’è un capo, come un padre o una madre. E i ragazzi seguono questa figura: se il leader dirà loro di fare qualcosa, tutti lo seguiranno. Per esempio, i ragazzi nelle strade spesso sono soggetti a dipendenze, e a volte quando parliamo con loro gli viene detto di mettere via la droga, tutti lo fanno perché ascoltano. Questa è una regola che seguono. Un’altra è che devono esserci l’uno per l’altro: se hai qualcosa lo devi condividere con gli altri; se uno di loro viene picchiato, gli altri lotteranno per difenderlo. Questa è la cosa più bella: vivono come una famiglia.

Il leader è il più grande o ci sono altri criteri?

JW: Nella maggior parte dei casi è il più grande, ma un altro elemento di leadership è il tempo di permanenza nella base. Ci sono persone che restano una settimana e poi se ne vanno, altre ci restano un mese, altre ancora restano nella stessa base per anni.

Cercate di costruire una relazione con il leader per avere accesso alla base?

MO: Sì, i leader sono coloro che posso aiutarti ad accedere alla base. Sono anche quelli che possono proteggerti se succede qualcosa.

Qual è stata la sfida più grande che avete dovuto affrontare?

MO: Quando ho cominciato è stata una grande sfida perché sono una donna. Molte persone in strada fanno uso di droghe e all’inizio si ha un po’ paura di loro, ma dopo due o tre giorni erano già molto amichevoli. È fondamentale presentarsi perché ci sono persone che li avvicinano, li picchiano, li schiaffeggiano, anche la polizia. Ma se sanno chi sei, sei al sicuro.

Da quando avete cominciato com’è cambiata la situazione? Ci sono meno ragazzi in strada?

MO: Sì, parlo per questo lato della città (Dagoretti, Kawangware, ndr), i ragazzi stanno diminuendo. Ma andando più in centro sono ancora tanti perché nel momento in cui ne recuperi uno, ne arrivano altri. Ora anche il governo sta cominciando a occuparsi della loro protezione. Forse da qui a cinque anni avremo meno bambini in strada.

Ci sono bambini che non hanno famiglia? Se sì, come funziona il lavoro con loro?

MO: Ci sono alcuni bambini che non hanno i genitori, ma anche in quel caso ci si affida a un parente. Nessuno nasce senza un padre e una madre, facciamo abitualmente il tracciamento della famiglia e anche se è molto lontana, la raggiungiamo.

Durante i laboratori artistici ci siamo sentiti i benvenuti, abbiamo ricevuto rispetto e affetto. Ma qual è la percezione da parte delle altre persone che non vivono in strada? Sappiamo che esistono forme di discriminazione nei loro confronti. Una volta c’è stata una ragazza del quartiere che li ha presi in giro, li ha apostrofati come “animali”. Pensi che il carnevale possa mettere in discussione questa percezione?

MO: La gente considera questi ragazzi dei ladri, teme che possano farle del male. Soprattutto le persone appartenenti alle classi sociali più alte li giudicano per come si vestono, perché sono sporchi, si domandano cosa mangiano. Aspettiamo il carnevale perché in quel momento noi saremo con loro e la speranza è che la gente possa guardarli con occhi diversi. Molte volte hanno una percezione negativa anche nei nostri confronti: si chiedono “Come puoi fare questo lavoro?”. Il carnevale è uno strumento per far comunicare la comunità con i ragazzi.

Concludiamo questa conversazione ricordando un disegno fatto a Kawangware. Era di Mavo, ha disegnato un bellissimo negozio di ferramenta. Su un lato c’era un paesaggio, un’alba. O un tramonto forse. A fianco aveva scritto “Terra dell’orrore”. Così gli abbiamo chiesto il perché di quella frase e ha risposto che definiscono la polizia “orrore” perché a volte i poliziotti arrivano e li picchiano senza motivo, come se non avessero alcun valore. Come possono il carnevale e le altre iniziative come la Giornata internazionale dei bambini di strada aiutare sul piano politico?

JW: Penso che questo carnevale, questa festa, in cui la gente ci vedrà tutti insieme farà sorgere domande e penso che la nostra risposta sarà far capire che queste persone sono importanti, sono esseri umani come tutti ed è solo a causa di alcuni problemi che sono finiti in strada. Credo che la maggior parte delle persone pensi che scappino di casa e basta, mentre ci sono molti fattori che spingono un ragazzo a compiere questa scelta. È importante cercare di capire quali sono i motivi prima di farsi un’idea. Anche nel caso dei poliziotti, il motivo per cui si comportano così è che pensano siano dei ladri e che, in alcuni casi, possono essere associati a criminali e altre situazioni che la società non accetta.

Il video di Derek MF Di Fabio

By cherimus,

Un matatu può volare, o quasi: infischiarsene, saltare il traffico, levitare leggero. Passeggeri, motore, gomme, trasmissione e marmitta compresi, fatti di stoffe leggere e luce. Un ferramenta anche lui può volare, in preda al vento e al sole: lamiere, badili, seghe, martelli, bilance, tutte con poteri speciali, saettanti. Un altro matatu poi, può essere lungo e sinuoso come un drago, e serpeggiare per le vie, accogliente e danzante all’interno, accessibile da ogni parte: ogni punto buono per entrare e uscire, ogni ansa perfetta per improvvisare un canto o un ballo. Una casetta di bambù e plastica è a bordo di un automobile, a spasso: irriverente, piratesca e solido rifugio allo stesso tempo. Una foresta incantata, di alberi altissimi, grondanti di foglie rumorose: in cima ombrelli e abitanti fantastici a guardare giù. Il mondo sottosopra di Nairobi appariva quel giorno, il 14 aprile 2018, dopo due mesi di laboratori sotto il sole e sotto la pioggia: il mondo delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi che vivono per le strade di Kawangware, Mtindwa e Ngong. 

Ognuno di questi luoghi ospita una base e ogni base è una grande e complessa famiglia, in cui ci si spalleggia, ci si sostiene, ci si accoglie, ogni giorno. Vulnerabili e discriminate dalle classi più ricche, queste famiglie hanno creato una festa meravigliosa, hanno dischiuso il loro universo, l’hanno condiviso con noi; la loro immaginazione e il loro lavoro hanno dato forma, una forma unica, che non somiglia a niente di mai visto, al Carnevale di Nairobi, il primo mai realizzato. 

La festa si è ripresa le strade: quel giorno il quartiere Riruta-Satellite sembrava davvero di tutti e brillava perché aveva al centro i suoi bambini e ragazzi: la bellezza di Nairobi è la loro bellezza. Il video racconta la storia di Carnival! Nairobi, raccoglie tanti pezzi diversi e prova a metterli insieme; il punto di vista è quello di Derek MF Di Fabio, artista visivo che ha supportato i ragazzi nei laboratori insieme a Cherimus, agli educatori di Koinonia e alle ragazze e ragazzi dei centri di accoglienza; Derek si focalizza sui ragazzi che vivono in strada e su tutte le collaborazioni con artisti e artigiani locali che unendo le forze hanno reso possibile il Carnevale. 

La bellissima colonna sonora del video è stata anch’essa prodotta in strada, attraverso laboratori condotti dal musicista Luca Garino. Alla sua finalizzazione hanno lavorato giovani musicisti di Nairobi (MegaLink Ent Studio) con anch’essi alle spalle l’esperienza della vita di strada. 

Il video racconta anche l’incontro tra Ibrahim Nehme, uno dei due artisti in residenza per Darajart 2018 insieme a Luca Garino, e Byub, un poeta che vive in Kabiria Road. Ibrahim, ci dice, ha incontrato il suo essere poeta a Nairobi. Nel video le parole di Byub sono accompagnate da immagini di un albero caduto durante una tempesta a Kivuli Centre.

Buona visione.  

Dexi Tian

By cherimus,


Interview with Dexi Tian (English/French)

by Derek MF Di Fabio

It’s funny how some expressions and sounds stick to our minds. In English there is an expression called Earworm, you use to say when you wake up with a song and it doesn’t go away, so every now and then you’ll find yourself sing to it. It can be contagious, and the people with you may sing that same song without really knowing why. Probably that song will influence your rhythm and your moves during the day. With the classes, we went to look for materials on the beach of Fontanamare and in a park in Domusnovas, we had to translate your way-of-seeking, your searching method, to the children: how would you describe it? How would you describe your gaze?

Selon moi l’art est partout. Ca veut dire qu’il faut aimer le penser et garder la curiosité. Je travaille beaucoup avec les objets trouvés. Ou plutôt ce sont eux qui semblent me trouver, par hasard, lors de mes promenades. C’est grâce à notre société : elle nous propose trop de marchandises,partout, tellement qu’elles finissent par déborder et devenir une partie de la nature. Souvent elles se manifestent sous forme de pollution. Dans cette société de surconsommation certains voudraient régler le problème par de multiples réglementations voir dans certains cas par l’interdiction.Mais je pense que c’est mieux de nous changer nous mêmes, changer notre façon de vivre . A chacun de trouver sa façon de vivre, savoir ce dont on a vraiment besoin, ne pas simplement suivre la mode. Trouver son propre sens dans la vie.

C’est alors que la vie deviendra simple et claire. C’est comme lorsqu’un objet semble m’attendre là, au coin d’une rue.

Je réfléchis beaucoup aux relations entre la vie et l’art. Parfois je me dis qu’ils sont pareils, d’autres fois qu’ils sont différents.  

Le plus intéressant pour moi c’est quand l’art se fond dans la vie, c’est alors que l’art se transcende.En fait toutes les choses ont une utilité, ça dépend seulement du regard qu’on leur porte. Tout comme les individus: chacun est utile dans la société. Il faut juste trouver sa bonne place. Tout est possible, il faut juste agir.  

It was very interesting to bring your practice to the children of four different schools in Sulcis, what do you remember more from these meetings?

Je trouve que les enfants sont très ouverts, ils ont des pensées incroyables, très différentes les unes des autres. Ils sont très intéressants. Surtout ils peuvent les concrétiser très vite avec tout ce qu’on a trouvé, ca c’est incroyable. J’ai passé beaucoup de temps pour réfléchir pour trouver cette façon de travailler, mais pour eux ça a l’air tellement naturel. Malgré la difficulté de la langue, on a bien travaillé. Et on s’est bien amusés. J’en garde un souvenir souriant.

Every morning we crossed some mountains to reach the Iglesiente area. Some mornings were super sleepy that we couldn’t speak, other mornings were full of clouds and driving-down the hills was like diving into a foamy dream. Sheeps were crawling particular fields, once we catch three identical shepherd dogs, the water of a spring gets out from a plastic pipe on that route, another time we had to slow down following a nails-slow truck, and once we stopped to check a massive hotel-restaurant that was never finished and it sleeps for the last 30 years. One of those mornings we spoke about materials: your work is based on “sought-for objects”, in which objects you are interested to?

Chacun a ses goûts . Le goût des aliments , des vêtements,la vie quotidienne. Chacun est différent. Tout comme il y a différents types de collectionneurs. Moi par exemple ce que je collectionne ce sont les objets .   j’aime bien les objets en bois , en verre, et des   pierres . J’aime bien leur forme, leur matérialité. Mais aussi dans chaque objets, il y a le temps, le passé et les traces. Avec l’espace ,Ça raconte beaucoup d’histoire. J’adore les mélanger et créer des hybridations pour trouver de nouvelles relations entre eux. C’est ça qui m’amuse bien.

All your sculptures are composed by usedobjects, objects that humans had touched, scrubbed, eaten, thrown, lost or forgot.I was looking online a sculpture you were telling us about, but I couldn’t found it: some human phalanxes made out in some metal, you had found them in a burnt house therefore those finger partly fused together. Or you produced for us two sculptures, we walked with you to collect some of their elements you had seen before during a walk: some animal-jaws and some ceramic parts were soaked in the dirty water of a little canal, under a bridge, in the periphery of the small village where we are based, Perdaxius. It seems that most of your elements came from a twilight zone, although they had been passed and dance under the spotlights. You came from a big Chinese city, and then you moved to Paris and recently you moved to the woods outside the French capital: what is a periphery and what is its role?

Pourquoi m’intéresser à la banlieue. Car je trouve que les banlieues sont les lignes entre la société et la nature. Sur cette ligne, on voit les relations des hommes avec la nature. Parfois c’est la guerre, parfois il y a une harmonie sensible. Et c’est cela qui a posé beaucoup de questions. La question de pollution bien sur, la question de vivre ensemble, comment améliorer la relation ?Là c’est le   point qui m’intéresse.

Then these elements are composed: as we were setting up in the school, all the different tools and instruments are tidily ordered and then you operate. “Le cadavre exquis” jumps to my mind but also some notions of Chinese language you presented to the classes: how a number of ideograms next to each other means an object, or how, if repeated together, the same ideogram can shift its meaning and become multitude / an abstract idea…. is it connected to your work or I’m just making it up?

Oui , bien sur. Il y a ce sens, mais pas seulement. L’écriture chinoise est une ancienne culture, qui perdure jusqu’à présent. C’est la plus ancienne écriture qui   est utilisée jusqu’à maintenant. En tout il y a plus de dix mille caractères. C’est une richesse inimaginable. Il est   comme une ligne qui relie le présent et le passé. On peut voir la vie des anciens et leurs évolutions . Et ça va évoluer en continu. Les écritures c’est comme les racines ,ça sort naturellement dans ma pensée et dans mes travaux. Les objets je les vois comme des mots, et les installations comme des poésies, une poésie visuelle en dimension.  

…and to conclude: can you tell us few things about the association you are part of?

L’association VIA est une association d’ art contemporain qui a été créé par plusieurs artistes et commissaires. L’Idée c’est un chemin pour l’art. Son esprit est dans la pratique. C’est comme s’il n’y avait pas de route au début, ce sont les gens qui marchent dessus, qui, avec le temps, ont créé un chemin. L’art a besoin de curiosité et de  courage.et  les pratiques dans la vie. Parfois , les vies des artistes ne sont pas toujours faciles, surtout à la sortie de l’école. l’esprit de l’association c’était d’aider les jeunes artiste à trouver leurs chemins, pour encourager et avancer . Par exemple trouver des endroits et des opportunités pour exposer , montrer leurs travaux, et parfois organiser des courtes résidences etc …Mais maintenant, la route s’est un peu perdue dans des méandres. Il faut beaucoup de travail, continuer d’avancer, trouver la bonne route.  

Enfin merci à l’association cheremus, qui m’a donné cette chance de travailler avec les enfants. C’est un super projet. J’ai passé des moments inoubliables en Sardaigne. J’espère que l’association va continuer, et grandir. Merci encore, à bientôt.  

Per il terzo appuntamento con i laboratori dei Giardini Possibili, Cherimus collaborerà con l’artista Dexi Tian, selezionato da Martina Köppel-Yang, co-curatrice della biennale d’arte di Sichuan 2018 (Cina).

L’artista nelle prossime due settimane lavorerà con i bambini delle scuole elementari di Villamassargia, Domusnovas, Musei e Iglesias, affiancato dagli artisti Derek MF Di Fabio e Carlo Spiga.

Il giorno 18 di gennaio è prevista una presentazione del lavoro di Dexi Tian aperta a tutti presso la Casa Occheddu di Domusnovas.

Dexi Tian, nato in Cina nel 1979, vive e lavora a Parigi. Poeta dei materiali, Dexi sviluppa un rigoroso lavoro di ricostruzione della realtà partendo da elementi recuperati. Per lui, gli oggetti sono come parole: riassemblati e installati in nuovi spazi, danno loro un’altra risonanza. .Nel tentativo di conciliare arte e vita, è anche interessato a trovare un posto alla permacultura nella sua arte.
Dexi Tian ha partecipato a numerose mostre e festival in Europa e in Asia: Museum Liu Haisu, Shanghai (CINA), Gallery LIUSA WANG (FR), the 6B, Paris (FR), Gallery PARIS HORIZON, Paris (FR), Abbatiale Saint-Ouen, Rouen (FR), CIGE, Beijing, (CHINA), Kunstverein Nurtingen (DE), La Papeterie de Seine, Parc du chemin de l’Ile, Nanterre (FR), Gallery IEFO, Paris (FR), Gallery AREA, Paris (FR), Gallery Tamtam Art Taipei (TAIWAN), Gallery Espace des Arts Sans Frontières, Paris (FR), gallery International City of Arts, personal exhibition, Paris (FR), Castel Liversan, Haut Médoc, Bordeaux (FR). Dexi Tian lavora anche al di fuori degli spazi istituzionali, con workshop e altre forme ibride.